Ct 5, 6b-8; Sal 17 (18); Fil 3, 17 – 4, 1; Gv 15, 9-11
L’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. (Ct 5, 6b)
La relazione tra l’amata e l’amato è tale che, scomparso uno, anche l’altra ne subisce le conseguenze, come se a scomparire fosse la sua stessa vita. Quanto esprime il Cantico non è una forma distorta dell’amore, che fa dipendere l’identità dell’una dall’altro, come se lei non avesse nessuna possibilità di consistenza: al contrario, svela la forma più profonda dell’amore, quella di chi consiste che la propria vita è ricevuta, che la propria identità si costruisce perché offerta nel legame ad altri.
Meditare su questo passo avvicinandosi la solennità di Pentecoste porta a considerare il proprio rapporto con il Signore: siamo viventi in quanto percorsi dal suo spirito vitale, tanto che il Salmo 130 afferma al contrario che se «togli loro il respiro: muoiono»; come è possibile vivere in sintonia con lo spirito del Signore, al punto da lasciarlo essere il respiro che dà ritmo alla propria esistenza?
Preghiamo
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore,
mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
dal Salmo 17 (18)

