At 1, 6-13a; Sal 46 (47); Ef 4, 7-13; Lc 24, 36b-53
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». (At 1, 9-11)
La domanda che gli angeli rivolgono ai discepoli rimane un appello per ciascuno: “guardare il cielo” non è certo negativo, essere consapevoli che da quel momento, per sempre, il corpo e la storia di Gesù abitano il cielo, non è cosa da poco. Allo stesso tempo, si tratta di considerare con attenzione la modalità con la quale ci si lega al cielo, al Dio di Gesù: si può essere nostalgici, oppure legati al cielo solo perché si rifiuta la storia quotidiana che si svolge sulla terra. Quello sarebbe però una contraddizione, nella misura in cui ora il cielo è abitato dal corpo e dal tempo umano di cui Gesù ha fatto esperienza, per sempre: non è possibile anteporre le due dimensioni, ma si tratta, per ciascuno, di scoprire come vivere il proprio rapporto con Dio nella misura in cui si è radicalmente – perché per amore – legati a questo mondo.
Preghiamo
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.
dal Salmo 46 (47)