Gb 1, 6-22; Sal 118 (119), 153-160; Tb 3, 7-15; 4, 1-3a. 20 – 5, 3; Lc 21, 34-36
«Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!». In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto. (Gb 1, 21-22)
Colpito nel profondo, segnato dal dolore, Giobbe è in grado di mantenersi saldo, senza lasciarsi cogliere dalla tentazione di riconoscere in Dio la causa di quanto sta patendo.
La risposta di Giobbe consente di rimanere di fronte alla croce di Gesù, come l’episodio definitivo che impedisce di pensare che il dolore e il male siano voluti da Dio: egli, al contrario, ha preso su di sé, patendo in prima persona, perché ogni essere umano potesse vivere in libertà, per sempre.
Di conseguenza, ognuno è interpellato, fino a chiedersi in quale misura si fa strumento per collaborare all’opera di Dio, rimuovendo il dolore di chi patisce ingiustizie, perché tutti possano sperimentare la vicinanza del suo amore.
Preghiamo
Vedi la mia miseria e liberami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
Difendi la mia causa e riscattami,
secondo la tua promessa fammi vivere.
dal Salmo 118 (119)

