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O Dio, meditiamo il tuo amore

Martedì della Settimana Autentica

15 Aprile 2025

Gb 19, 1-27b; Sal 118 (119), 161-168; Tb 5, 4-6a; 6, 1-5. 10-13b; Mt 26, 1-5

«Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». (Gb 19, 22-27)

Giobbe vive della consapevolezza che il dolore non avrà l’ultima parola, anzi, l’ultima parola è quella che rimane per sempre: la sua, che attesta quella professione di fede, piena di speranza del fatto che il Signore è il Dio della vita, che potrà essere contemplato, in un rapporto a tu per tu, senza fine.
Per un cristiano, la possibilità di affermarlo passa dalla contemplazione di quell’amore che è arrivato fino al dono di sé sulla croce, passa attraverso la consapevolezza che ciascuno ha ricevuto il dono di una vita piena perché la ha ricevuta dall’amore di Gesù, fino all’estremo. Questo impegna a rifiutare ogni tentativo di addossare a Dio la responsabilità per il dolore patito dagli esseri umani e per rimuovere, praticamente, le occasioni nelle quali si è responsabili, in prima persona, del dolore degli altri dovuto dalla povertà e dall’abbandono.

Preghiamo

I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme solo le tue parole.
Io gioisco per la tua promessa,
come chi trova un grande bottino.

dal Salmo 118 (119)