Ger 10,1-10; Sal 134 (135); Zc 9,1-8; Mt 19,16-22
«Gli idoli sono come uno spauracchio in un campo di cetrioli». (Ger 10, 5a)
Il brano del profeta Geremia, che la liturgia ci offre come prima lettura, è caratterizzato da tratti polemici e farseschi. Esso è costruito attorno alla contrapposizione tra gli idoli “opera delle mani dell’uomo” ed il vero Dio, la cui grandezza e potenza è ineguagliabile. Scrivendo in un tempo successivo alla prima o seconda deportazione babilonese Geremia intende, così, sostenere il popolo d’Israele, tentato di scegliere e aderire agli dei del vincitore.
La vera alternativa che spesso caratterizza anche gli uomini del nostro tempo non è quella tra fede ed ateismo, ma tra Dio e gli Idoli. E tra di essi i più “gettonati” sono proprio gli idoli del vincitore di turno. Anche il giovane ricco, di cui ci parla Matteo, vive in fondo lo stesso dilemma. Il desiderio di vita eterna che lo accompagna e lo abita si spegne, così, di fronte all’esigenza di abbandonare la ricchezza, un idolo dal quale non riesce a staccarsi.
Preghiera
Prendimi per mano, Luce gentile, nel buio che mi stringe.
La notte è nera e così lontana la mia casa, prendimi per mano. Proteggi i miei passi. Non chiedo orizzonti troppo vasti.
Mi basta vedere lo spazio di un passo. Non sempre è stato così. Prima non pregavo che Tu fossi la mia guida. Volevo decidere e vedere tutto il sentiero: ma adesso portami per mano! Amavo giorni luccicanti e senza timore orgoglio, è stato il mio signore: non ricordare gli anni passati. Il Tuo vigore mi ha benedetto sempre e sempre mi prenderà per mano, tra paludi, brughiere, dirupi e gorghi, finché la notte non sarà passata, finché non verrà l’alba…
(John Henry Newman)