At 4,13-21; Sal 92(93); Gv 3, 7b-15
«Noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto». (Gv 3,11)
Nel brano di ieri, Nicodemo esprimeva la certezza di conoscere la provenienza di Gesù. Le letture di oggi, a più riprese, ci presentano lo sconcerto di chi non sa. Gli anziani e i sacerdoti, di fronte a Pietro e Giovanni, non sanno cosa rispondere. Nel brano di vangelo, Giovanni, forse in polemica col giudaismo a lui contemporaneo, afferma che si parla di ciò che si sa e si testimonia ciò che si è veduto. Proprio come il Figlio che, dal seno del Padre, è disceso manifestandosi come Figlio dell’uomo. Ma in quale momento possiamo conoscere che Gesù di Nazareth è il Figlio dell’uomo? E soprattutto, io cosa ci guadagno dal fatto che lui sia o meno il Figlio unigenito del Padre (v. 16)? Perché non dovrebbe bastarmi ciò che già so? Gesù parla di una necessità. Usa la parola “bisogna”. Nessuno conosce il Padre se non il Figlio (Mt 11,27). È necessario che sia lui a rivelarcelo e questa rivelazione deve essere per tutti. È necessario che il Figlio sia innalzato, come il serpente da Mosè nel deserto: «Chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,4-9). Gesù sulla croce, e lo Spirito che ce lo spiega, sono le ostetriche del parto che fa di noi delle creature nuove, capaci di vita eterna.
Preghiamo
Alzarono i fiumi, Signore,
alzarono i fiumi la loro voce,
alzarono i fiumi il loro fragore.
Più del fragore di acque impetuose,
più potente dei flutti del mare,
potente nell’alto è il Signore.
(dal salmo 92)