Non è certo la trama il punto di forza della saga di Avatar. Un progetto avanguardista del regista James Cameron ha una storia tanto esile – la struttura richiama Balla coi lupi – quanto involuta.
L’umanità del futuro ha bisogno di risorse. Le prende dal pianeta Pandora, dove vivono gli alieni Na’vi. Attraverso corpi sintetici, alcuni marines si mimetizzano tra di loro. Lo comprenderanno o li stermineranno?
La trama
Nel secondo e nel terzo capitolo si espande la mitologia, conosciamo nuovi clan e nuovi cattivi. I personaggi si moltiplicano a tal punto da faticare a ricordarne i nomi, gli intrecci sono sempre più fitti e i colpi di scena sempre più prevedibili.

C’è un detto a Hollywood: mai scommettere contro James Cameron. Dei primi quattro film di maggiore incasso nella storia del cinema, tre sono suoi. Si parla di film dal budget incredibile (gli ultimi due film, girati contemporaneamente, hanno un budget complessivo stimato intorno agli 800 milioni), eppure sono anche opere al limite dello sperimentale. Gran parte dei soldi sono investiti nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie di visione. C’è un magnifico 3D, ma anche l’alta frequenza di fotogrammi, oltre all’impressionante livello di dettaglio dei corpi alieni riprodotti in digitale con le emozioni e le movenze date dagli attori.
Avatar – Fuoco e cenere è il terzo capitolo della saga che, dovesse incassare bene, proseguirà con gli altri due film già pianificati. Ancora più dei precedenti è uno spettacolo visivo senza eguali: per tre ore e venti siamo immersi nelle battaglie e nella cultura di un mondo di fantasia che appare vivo sullo schermo.
L’ecologia di Cameron
A dare un ulteriore spessore spirituale alla pellicola è la cultura ecologista di Cameron, severo verso la razza umana che violenta madre natura, qui sotto forma della divinità Eywa, per seguire il dio profitto. Come una rete neurale, tutti gli esseri viventi potrebbero essere collegati in armonia per lo sviluppo di un nuovo paradiso terrestre.

Bisogna avere però la capacità di “vedere” la via dell’acqua, quindi quella della vita. “Vedere” l’altro, entrando in connessione non solo fisica, ma anche emotiva (i Na’vi lo fanno attraverso le loro code). Come possiamo farlo noi spettatori terrestri? Attraverso lo sguardo del cinema, dove l’occhio trasporta altrove e crea armonia. È questa la lettera d’amore di Cameron al grande schermo. Un peccato non viverla in sala.









