Se c’è una cosa che ai fratelli Dardenne riesce molto bene è indagare l’umano. Ogni volta che si mettono dietro una macchina da presa, Jean-Pierre e Luc costruiscono storie così importanti da renderle vere. Nell’ultima, presentata al Festival di Cannes (premio miglior sceneggiatura), dal titolo “Giovani madri” riescono nell’intento aggiungendo, addirittura, un tocco di speranza, così necessario al giorno d’oggi.
Un film importante che si costruisce attorno ad una “maison maternelle” (una sorta di casa-famiglia per ragazze madri), nella zona di Liegi, dove cinque minorenni hanno trovato rifugio, dopo essere rimaste incinta.
La trama
Ariane, Perla, Jessica, Julie, Naïma hanno tutte un’esistenza interrotta alle spalle, spesso di dolore e solitudine. Chi ha subito violenza, chi si è buttata nella droga e non riesce ad uscirne, chi è stata abbandonata dalla madre alla nascita, chi si è lasciata illudere dall’amore: tutte fragili, impaurite, piccole, forse più dei loro bimbi a cui, malgrado, vogliono un bene grande.

Sono questi ultimi, infatti, a dare loro (e a noi) la certezza che la vita continua, che permane un flusso vitale che non smette mai di scorrere e dà gioia, come la suonata di Mozart che accompagna, sul finale, il termine del viaggio che lo spettatore è chiamato a fare.
La fiducia prevale sull’amara realtà
Con quel tocco realista, ancora una volta, i cineasti belgi ci regalano un film che parla sì di un’amara realtà, ma anche di tanta poesia, di sguardi puri, conditi da note sincere di fiducia e di bene, che prevalgono nonostante tutto.
Uno sguardo autentico, dunque, anche sulla missione di queste case (location vera) e le figure adulte che le custodiscono: quella di liberare queste ragazze dalla catena di violenza di rapporti tossici per ridare loro una nuova possibilità di futuro. Da vedere, come sempre, quando si tratta di bel cinema, che sa scaldare il cuore.








