Almanacco liturgico Il Santo del giorno Il Vangelo di oggi Agenda dell'Arcivescovo

Sabato 17 maggio, presso la Basilica di Sant’Ambrogio l’Arcivescovo Mario Delpini ha presieduto l’Eucaristia in occasione dei giubilei delle religiose e dei religiosi. Una celebrazione che ha introdotto ciascuno nel mistero del nome per rinnovare la consacrazione a Cristo e alla Chiesa: mistero di luce e di grazia

“Sii benedetto, Signore, Padre santo,
perché nella tua infinita bontà,
con la voce dello Spirito,
in ogni luogo chiami donne e uomini,
che, già consacrati a te nel battesimo,
siano nella Chiesa
segno della sequela radicale di Cristo,
testimonianza viva del Vangelo,
annunzio dei valori del Regno,
profezia della città ultima e nuova.”

 

Con queste parole della Liturgia, sabato 17 maggio, 140 religiose e religiosi di 29 congregazioni religiose hanno ringraziato il Signore per il dono della vita consacrata.

Sotto un cielo più luminoso del solito, la Basilica di S. Ambrogio ha accolto numerosi fedeli radunati per celebrare l’Eucaristia presieduta dall’Arcivescovo in occasione dei giubilei delle religiose e dei religiosi. Una Eucaristia bagnata di Luce ha introdotto ciascuno ad entrare nel mistero del proprio nome.

“Si può celebrare anche così un anniversario significativo di vita consacrata: entrando nel mistero del nome. Come mi chiamo? Come mi chiamano? Come mi chiama il Signore?” ha suggerito l’Arcivescovo nella sua omelia (leggi il testo).

 

Il nome di battesimo racconta la storia personale di ciascuno e rende evidente la nostra introduzione nella comunione dei santi.

Il nome con il quale gli altri ci chiamano ci ri-chiama alla scelta di fare della nostra vita un dono.

Il nome con il quale il Signore chiama è, invece, più misterioso ed intimo, è il nome nuovo della verità insondabile di ciascuno, quella verità che solo il Signore ama e vede in noi. Questo nome nuovo è il nome con cui siamo chiamati a percorrere la via di Dio che trasfigura tutto. Questo nome segreto è l’appello a vedere tutto alla luce dell’amore di Gesù in modo che gli altri non siano altri, non siano persone simpatiche o antipatiche di una convivenza, ma sorelle e fratelli chiamati ad essere un cuore solo e un’anima sola per scoprire il nome nuovo con il quale il Signore chi-ama.

Per questa occasione, abbiamo scelto di incontrare alcune delle festeggiate e desideriamo metterci in ascolto delle loro parole.

Se dovesse scegliere un simbolo o una parola, per raccontare questi anni di consacrazione, quale sarebbe?
Suor Cinzia, delle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, racconta “Una immagine per me che racconti questi 25 anni di consacrazione è una tenda, una piccola tenda come quella dei pellirosse, semplice, che si regge su pochi pali, pronta a spostarsi per essere rimontata in mezzo ad altre realtà; una tenda aperta anche per accogliere. Le mie parole chiave sono semplicità, autenticità, ascolto, l’esserci, l’essere per, e tutto questo retto appunto da “pochi pali”: la certezza che il Signore è con me, che mi invita a rimanere con lui, ma anche a dare me stessa da mangiare.
Dopo 25 anni di Vita religiosa, da francescana penso alla letizia, come la intende s. Francesco, vedo come si sia fatta carne molte volte e ogni volta è stato un continuare a sperare, a credere che Dio c’è ed è un Dio che ama … nonostante. Ho un motto: “sorridi e prega” o, per dirlo con le parole di s. Paolo: “siate sempre lieti, pregate incessantemente”. Questo rende le situazioni della vita “perfetta letizia”. E allora ciò che vivo diviene bellezza e gratitudine.”

Suor Annamaria delle Suore di Maria Bambina, ricordando la figura di S. Vincenza Gerosa (1784- 1847), prima compagna della fondatrice dell’Istituto, condivide tre parole: ‘comunione-partecipazione-missione’. Crede, infatti, che queste possano evocare con semplicità e profondità il cammino sinodale ancora in corso.

 

In questo Giubileo della Speranza, quali sono i segni di speranza che sente in questa città, nel cuore delle sorelle e dei fratelli?
“Sono in questa realtà di Monza da soli 2 anni, ma i Segni di speranza che vedo nella mia città, nel mio quartiere di Cederna, nell’oratorio Frassati, crocevia di tante realtà anche non cristiane, è il desiderio di fare famiglia, di essere accolti e di accogliere, di aprire le porte, di creare spazi per tutti. Una Speranza che vuole mettere insieme molti volti, molte storie, molte vite, semplicemente, ma provando ad esserci”, racconta suor Cinzia.

Suor Annamaria aggiunge: “Dal mio limitato punto di vista, mi sembra di poter dire che i due segni di speranza che avverto nelle persone con cui vengo a contatto sono l’anelito profondo a costruire una pace giusta e duratura, a partire da un impegno concreto nelle relazioni fraterne; e la preoccupazione per la cura della casa comune, che possa donare speranza alle generazioni più giovani.”

Abbiamo da poco celebrato la Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni, quale Speranza vede nei giovani e quale parola si sente di dire loro?
“La speranza che vedo nei giovani, e purtroppo spesso non vedo, è quella di guardare al futuro con fiducia, di guardare il mondo degli adulti e anche quello dei consacrati con fiducia, come modelli, per quanto limitati e fragili. Il problema spesso per i giovani sono proprio gli adulti, come noi viviamo il nostro presente, quanto siamo testimoni coerenti e credibili. I giovani ci vogliono autentici, vogliono che ci mostriamo per come siamo e capiscono quanto siamo poco credibili e quanto talvolta ci impegniamo poco per rendere il mondo un posto migliore.
Quello che mi sentirei di dire loro come consacrata è che ancora scommettiamo sulla vita fraterna, sulla possibilità di vivere con consorelle diverse per età, cultura, nazionalità e che c’è una fraternità possibile nella vita religiosa e nel mondo! Questa è una via per la pace perché costruisce ponti. È una via, o forse è la via.”