Il Vangelo di Giovanni racconta che Gesù trascorse a Efraim qualche giorno con i suoi discepoli, dopo la resurrezione di Lazzaro, perché «i farisei avevano preso la decisione di ucciderlo». È un versetto a cui gli abitanti di quella che oggi si chiama Taybeh avranno probabilmente pensato spesso in questi anni, se è vero che questo villaggio – l’unico completamente cristiano in tutta la Palestina – è stato ripetutamente attaccato da coloni ebrei che hanno incendiato auto, devastato il raccolto delle olive, deturpato i muri delle case con scritte minacciose. Un destino, in realtà, non diverso da quello degli altri 14 villaggi di questa zona della Cisgiordania, a metà strada tra Gerusalemme e Ramallah, che sono invece a maggioranza musulmana. «Ma noi siamo fortunati – precisa amaro il giovane parroco, Bashar Fawadleh, che è qui dal 2021 – perché non abbiamo ancora avuto morti».
Ad ascoltare i suoi racconti, nella sala parrocchiale che fa anche da bottega per la vendita di oggetti di artigianato, sono i vescovi lombardi che ieri mattina hanno fatto tappa qui nel corso del loro pellegrinaggio in Terrasanta (oggi la conclusione con la Messa al Santo Sepolcro e l’incontro con il Patriarca dei latini, cardinale Pizzaballa). La sua denuncia è la stessa che negli incontri di questi giorni è risuonata già molte volte: «Il mix rappresentato da violenze dei coloni, guerra alle porte e povertà crescente ha come risultato che chi può se ne va: negli anni Ottanta Taybeh aveva 3mila abitanti, oggi sono 1.200».

Questo non impedisce però a questo villaggio di essere un simbolo positivo di convivenza, dove un futuro è possibile: lo dicono le attività della parrocchia (tra le altre, una scuola, un ambulatorio medico, un’accademia calcio, una radio locale) che accolgono un gran numero di musulmani; lo dicono i numerosi progetti di cooperazione e di collaborazione (tra questi, anche un gemellaggio in via di definizione con la Diocesi di Crema), così come le esperienze di dialogo ecumenico in un contesto in cui i cristiani, minoranza sempre più ristretta, sono inevitabilmente portati a superare le divisioni: «Qui ci sono anche una piccola comunità ortodossa e una melchita: celebriamo il Natale nella data di noi cattolici, bambini e ragazzi fanno insieme il campo estivo a prescindere dalle appartenenze».

E prima del 7 ottobre 2023, una data che qui in Terrasanta è citata come spartiacque in qualunque discorso, a Taybeh si provava anche a dialogare con i coloni ebrei. Ma l’eccidio di Hamas ha fatto crollare tutti i ponti, radicalizzando i coloni sulle posizioni dei ministri più oltranzisti del governo.

Una situazione, quella dei cristiani di Taybeh così come quella dei cattolici di lingua ebraica, incontrati successivamente a Gerusalemme, che di certo i vescovi hanno portato nel cuore nelle due celebrazioni vissute nel pomeriggio nella Basilica delle Nazioni, la chiesa accanto al Getsemani: una veglia di preghiera, seguita dalla celebrazione eucaristica. Significativa, durante la veglia, la lettura di due testi sulla pace che sono parte della tradizione ebraica e musulmana.
Nella sua meditazione (leggi qui) l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, ha sviluppato una riflessione a partire dal punto di vista delle vittime: due soldati di fazioni opposte morti in guerra, due bambine uccise in un conflitto, due mamme che hanno perso i propri figli per cause violente. Dialoghi immaginari ma molto concreti, con al centro tre parole: «Il perdono difficile che riconcilia i nemici, la solidarietà semplice che aiuta e si lascia aiutare, la premura materna per il futuro del mondo». In serata, al termine di un’altra giornata intensa per i 13 vescovi pellegrini, un incontro con i francescani della Custodia, ennesima occasione per immergersi nelle ferite e nella complessità di Gerusalemme e della Terrasanta.










