Il parroco accoglie con gioia i pellegrini venuti da lontano. È giovane, sorridente, onorato di avere in casa i vescovi della Lombardia. Padre Bashar Fawadleh, alla guida della comunità cattolica di Tayibe, in Cisgiordania, racconta di una parrocchia vivace, di un villaggio «tutto cristiano», attorniato da 14 piccoli paesi a stragrande maggioranza musulmana e circondato da insediamenti di coloni ebrei. Quando poi si addentra a descrivere la quotidianità, il sorriso si smorza.
Tayibe è l’antica Efraim, dove Gesù, come racconta il Vangelo, si ritirò per un periodo con i discepoli. Nella chiesa parrocchiale, dedicata a Gesù Redentore, spicca un gigantesco dipinto che illustra il brano della scrittura. Oggi il villaggio conta 1.200 abitanti, che frequentano le tre comunità cristiane: oltre ai cattolici, gli ortodossi e i melchiti. «Siamo in ottimi rapporti, collaboriamo spesso, viviamo insieme i momenti forti dell’anno, Natale, le Palme, la festa di Pasqua”. D’estate c’è un unico “campo estivo», sostanzialmente l’oratorio, “con 150 ragazzi delle tre comunità”.

Sollecitato dai Vescovi, che vi fanno tappa mercoledì 29 ottobre, don Fawadleh racconta di «una vita difficile» e subito si sofferma sugli ingombranti vicini di casa: i coloni hanno incendiato non molti mesi fa le piantagioni di ulivi, che davano lavoro a diverse famiglie. Per non parlare delle continue minacce, delle scorribande, di alcune auto date alle fiamme.
Abuna Bashar, come lo chiamano tutti, è parroco a Tayibe dal 2021. «Fino agli anni Ottanta gli abitanti erano tremila, ma la gente è emigrata; dopo il 7 ottobre le partenze sono aumentate». Tra le mete gli Stati Uniti, il Sudamerica, adesso la Spagna che ha aperto le porte ai palestinesi. Perché questo esodo? «Siamo intrappolati – dice –, non si può andare a Gerusalemme per lavorare, le coltivazioni sono prese di mira dai coloni. Viviamo senza sicurezza, ci sentiamo soli». L’Autorità nazionale palestinese non muove un dito, stando al racconto, per proteggere questa piccola comunità cristiana. Fortunatamente arrivano un po’ di rimesse e aiuti dall’estero, ma ciò che pesa è l’isolamento sociale e politico.
Eppure, la parrocchia cattolica non si arrende: c’è una scuola con 400 studenti, «il 70% dei quali musulmani che arrivano dai villaggi vicini. Poi la squadra di calcio, una scuola d’arte, l’intenzione di riaprire i corsi di ceramica, una guest house, il sogno di far ripartire i programmi della radio».

Una visita all’antichissima chiesa di San Giorgio, ora in rovina, è l’occasione per spiegare che «sono stati avviati alcuni progetti, sostenuti da fondi internazionali», fra cui il recupero e la valorizzazione del sito archeologico. «Ma se non c’è lavoro, se non si può mantenere la famiglia, se si vive nella paura diventa normale – sottolinea padre Fawadleh – che la gente voglia andarsene». Intanto prende forma un ulteriore progetto, per realizzare una ventina di appartamenti: per ora è aperto il cantiere per cinque di essi: un modo come un altro per arginare l’emigrazione.
La visita dei Vescovi lombardi porta un segno di amicizia, di possibili collaborazioni. Il parroco parla del sostegno che viene dal Patriarcato latino. Quindi torna a spiegare la storia della cittadina, parla dei parrocchiani. Non manca di condurre gli ospiti a visitare i locali dove trascorse alcuni periodi della sua vita Charles de Foucauld.

Prima di salutare i pellegrini, che riprendono la strada per Gerusalemme, il parroco segnala tre parole chiave per il futuro della comunità: «Lavoro, case e sicurezza». Elementi necessari “per vivere in serenità” e immaginare un futuro.







