Sassi e sabbia ovunque, cataste di legname di recupero, e poi baracche di terra e lamiera, asini, tanti bambini e qualche donna velata che si affaccia dalle case di fortuna. È il paesaggio che ci viene incontro nel deserto di Giuda, dove sorge il villaggio dei beduini di Jahalin. Siamo in Cisgiordania, a poche centinaia di metri in linea d’aria da Betania, e l’incontro che aspetta la comitiva dei Vescovi lombardi, in pellegrinaggio in Terra Santa è destinato a restare vivo nella memoria.
Qui, su una collina circondata da insediamenti israeliani che crescono a vista d’occhio, con progetti di ulteriore intenso sviluppo urbanistico, vivono le famiglie di beduini a cui si dedicano le suore comboniane che incontriamo la mattina di martedì 28 ottobre. Sono i bambini più piccoli, dai 3 ai 5 anni, e soprattutto le donne al centro dei progetti a cui lavorano suor Lourdes Garcia e suor Cecilia Sierra, entrambe di origine messicana.

In perfetto italiano ci accolgono, insieme al capo del villaggio, Jihan Frenhat. Il loro racconto è mosso dalla passione per questa realtà debolissima, destinata probabilmente a scomparire, secondo i progetti di sviluppo dell’insediamento che sovrasta la collina: «Che ne sarà dei beduini? – si chiedono le due religiose -. Probabilmente qui non ci sarà futuro, e allora diamo a queste ragazze e donne un filo di speranza, offrendo corsi di formazione: insegniamo inglese, ebraico, qualche nozione di pronto soccorso, la fabbricazione del sapone con latte di capra e olio d’oliva, e soprattutto a cucire e a ricamare, per tenere viva la tradizione del ricamo palestinese, riconosciuto come patrimonio dell’umanità». Così le suore operano con altre cinque consorelle in dieci villaggi come questo: con il progetto «Fili di Pace» tengono viva la speranza e insegnano a sopravvivere dove il lavoro per queste famiglie non c’è.

Al villaggio risuonano gioiose le voci dei bambini dell’asilo, l’altra faccia dell’opera delle suore: ci tengono a farci vedere i quaderni dove imparano a disegnare alcune lettere dell’alfabeto e qualche rudimento di lingua inglese: le loro quattro maestre sono tutte beduine. «È questa la forza del progetto – spiega suor Cecilia -. Sono anche loro figlie di queste famiglie, hanno potuto studiare, si sono laureate e ora si mettono a servizio dei bambini. Sono stati proprio i beduini a chiederci la scuola, come via di riscatto per i loro bambini». Una di loro è la moglie del capo villaggio, Ahmad Frehnat, e parla con grande orgoglio del proprio lavoro: «Questo asilo è l’unica possibilità per questi bambini di avere una prima istruzione e poter iniziare la scuola quando avranno 6 anni».

Ma è soprattutto il gruppo delle ragazze e delle donne ricamatrici che lascia il gruppo dei Vescovi senza parole: ci accolgono nel loro “laboratorio” mostrandoci ciascuna la propria creazione, borse, tovaglie, astucci, scialli e le preziose saponette. Offrono tè e caffè, regalano sorrisi e sguardi intensi. «Qui – spiegano le suore – un tempo si riunivano solo gli uomini, oggi sono le donne a occupare questo ambiente durante il giorno, per il loro lavoro, mentre gli uomini vengono la sera. E i beduini sono orgogliosi delle loro mogli e figlie; questo è l’unico villaggio in cui consentono a una comitiva di uomini di restare in compagnia delle loro donne».
Laddove sembra che la sorte abbia giocato pesantemente con la vita di queste famiglie, e dove il futuro è decisamente incerto, condizionato dai progetti di espansione delle colonie in Cisgiordania, la voglia di guardare avanti con fiducia, senza dimenticare il sorriso, lascia commossi tutti i pellegrini. Le suore chiedono una benedizione ai vescovi e monsignor Mario Delpini, a braccia aperte, restituisce parole di speranza e domanda pace per queste ragazze, donne, bambini e le loro famiglie.





