«Prendere le parti di uno dei contendenti, stare vicini solo al dolore di una parte sarebbe la cosa più semplice. Ma noi vogliamo stare in mezzo, essere ugualmente vicini a tutti», dice suor Valentina riecheggiando il senso profondo dell’intercessione (inter-cedere, stare in mezzo) di cui parlava spesso il cardinal Martini nei suoi anni qui a Gerusalemme.
Quella di suor Valentina Sala, originaria di Arcore, che ha lavorato a lungo come ostetrica nel Saint Joseph Hospital, l’unico ospedale cattolico della città, prima di assumere altri incarichi sempre a Gerusalemme, è una delle testimonianze che hanno connotato la prima serata del pellegrinaggio dei vescovi lombardi in Terrasanta, iniziato con il volo da Milano a metà giornata. In un clima familiare, durante e dopo la cena, religiosi, religiose e laici originari della Lombardia che in vari modi lavorano in ambito ecclesiale a Gerusalemme hanno raccontato ai vescovi e ai loro accompagnatori la propria esperienza, spesso pluriennale, ma che certamente negli ultimi due anni si è fatta particolarmente intensa.

Lo si capisce ascoltando Miriam Bianchi – originaria di Como, sposata con un palestinese e con un figlio videomaker dei media della Custodia – che racconta il clima pesantissimo seguito al 7 ottobre, la paura per i bombardamenti iraniani dello scorso giugno e il pensiero, che per la prima volta si insinua con insistenza dopo 14 anni, di tornare in Italia.
Mons. Pierangelo Pedretti, originario di Cremona ma incardinato nella Diocesi di Roma, lavora invece alla Domus Betaniae, un centro di formazione biblica e spirituale per presbiteri, situato nel luogo che ricorda l’abitazione di Lazzaro, Marta e Maria. Ci racconta di una sofferenza diffusa, trasversale alle diverse appartenenze religiose e avverte: «In Italia pensate che la guerra sia finita ma qui si continua a morire, la tregua riguarda una piccola zona e il conflitto ha radici profondissime». Nonostante questo, riesce a trovare segnali di speranza: «Una cosa che apprezzo molto della mia esperienza qui è l’unità che si è creata nella piccola comunità cattolica: consapevoli di essere una minoranza, ci si lascia alle spalle snobismi e divisioni, e si lavora davvero con un cuore solo e un’anima sola».

Prima della cena, a dare il via ufficiale, per così dire, al pellegrinaggio era stata inevitabilmente una celebrazione eucaristica, presieduta da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, nella suggestiva chiesa dei Melchiti, non lontana dalla Porta di Giaffa e dallo stesso albergo in cui risiedono i 32 partecipanti al pellegrinaggio. «Mentre portiamo dei messaggi di pace agli altri – ha detto mons. Beschi nell’omelia (leggila qui), siamo invitati a esaminarci dentro: perché i germi della guerra sono anche dentro di noi. Ogni guerra nasce nel cuore abitato dal peccato e ogni possibilità di pace credibile è frutto della conversione del cuore». Parole da meditare in vista della intensa giornata di martedì, che vedrà i pellegrini recarsi a Betlemme.






