Il film “La solitudine dei non amati” introduce lo spettatore nella vita di Maria, una donna che, dopo la fine di un matrimonio difficile, si ritrova ad affrontare le complessità di una nuova relazione e le sfide della maternità. Se il film inizialmente può ricordare storie di separazione già viste, ben presto intraprende un percorso più intimo e universale: l’esplorazione di sé. In questa prospettiva, è possibile richiamare il pensiero del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, il quale sottolineava come l’esistenza umana sia spesso segnata da una sofferenza interiore, da un desiderio insaziabile che raramente trova piena soddisfazione.
Attraverso gli occhi di Maria, infatti, si osserva come le gioie iniziali di un nuovo amore possano scontrarsi con la realtà quotidiana, fatta di impegni familiari e di un crescente senso di solitudine. Le sue frustrazioni e le difficoltà nel trovare appagamento nelle relazioni esterne derivano da questa tensione interiore, da una “volontà” insoddisfatta che si scontra con la realtà.
Quando la relazione con Sigmund entra in crisi, Maria è costretta a guardarsi dentro, a confrontarsi con le proprie fragilità e con le dinamiche affettive che la influenzano, dinamiche forse radicate nel suo passato. Emotivamente abbandonata, ignorata nelle sue richieste d’aiuto e respinta con veemenza dalla figlia, Maria, dopo aver lasciato la sua casa, si ritrova a vagare in un appartamento prestato, un limbo fisico che riflette la sua condizione psichica. L’insistenza di Sigmund sulla necessità di una terapia per gestire la rabbia si trasforma per Maria in un doloroso ma necessario viaggio di auto-esplorazione. Il film pone lo spettatore di fronte a una verità scomoda ma fondamentale: spesso si cerca amore e accettazione all’esterno senza aver prima coltivato un rapporto sereno con sé stessi.
“La solitudine dei non amati” mostra come la fragilità emotiva non sia una debolezza da nascondere, ma una parte intrinseca dell’esperienza umana. Il percorso di Maria, fatto di cadute e tentativi di rialzarsi, offre al pubblico una prospettiva onesta e toccante sulla complessità dell’essere umano e sulla continua ricerca di un equilibrio interiore che possa riflettersi positivamente nelle relazioni con gli altri. In definitiva, il film lascia una riflessione rilevante: l’amore più importante, quello che può davvero trasformare la vita, è l’amore che si impara a rivolgere a sé stessi, una verità che riecheggia la necessità, come sosteneva Schopenhauer, di comprendere la propria interiorità per affrontare la sofferenza del mondo.

Opera d’arte ispirata al film: “Due esseri umani. I solitari” – Edvard Munch


