I grandi riflettori del mondo si sono ormai spenti sulla Turchia, che ha accolto papa Leone XIV nel suo primo viaggio apostolico, in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea. Come me, ognuno è tornato a casa sua, alle sue fatiche di tutti i giorni, portando però nel cuore una profonda gioia, nutrita di gratitudine e speranza nuova, perché ora sappiamo che, anche nella nostra debolezza e impotenza, non siamo soli, dimenticati, dispersi e isolati, tra le tante sfide del mondo.
Molteplici sono stati i gesti e i discorsi compiuti dal Pontefice, ma per me soprattutto due sono stati i momenti forti vissuti a Istanbul.
Uomo di Dio
Il primo, la mattina di venerdì 28 novembre presso la Cattedrale di Santo Spirito, durante l’incontro di preghiera con i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali (leggi qui). Apparso come uomo di Dio schivo, semplice, ma profondo e deciso, papa Leone ci ha regalato grandi parole di incoraggiamento e di fiducia, ricordandoci di non aver paura e di non lasciarci scoraggiare nell’essere una Chiesa così minuscola da sembrare più piccola del più piccolo dei semi, perché, anche se appariamo come un “fragile germoglio” che ha bisogno continuamente di essere nutrito e custodito, abbiamo radici molto profonde. «La storia che vi precede – ci ha detto – non è semplicemente qualcosa da ricordare e poi archiviare in un passato glorioso… al contrario, siete invitati ad adottare lo sguardo evangelico, illuminato dallo Spirito Santo».
Sì, perché lo stile di Dio è proprio quello della piccolezza, Lui che ha scelto proprio questa via per discendere in mezzo a noi. Ci ha ricordato papa Leone: «Questa logica della piccolezza è la vera forza della Chiesa. Essa, infatti, non risiede nelle sue risorse e nelle sue strutture, né i frutti della sua missione derivano dal consenso numerico, dalla potenza economica o dalla rilevanza sociale. La Chiesa che vive in Turchia è una piccola Comunità che, però, resta feconda come seme e lievito del Regno. Pertanto, vi incoraggio a coltivare un atteggiamento spirituale di fiduciosa speranza, fondata sulla fede e sull’unione con Dio. C’è bisogno di testimoniare con gioia il Vangelo e di guardare con speranza al futuro». Ha poi proseguito: «Tra i segni più belli e promettenti, penso ai tanti giovani che bussano alle porte della Chiesa cattolica, portandovi le loro domande e le loro inquietudini. In proposito, vi esorto a continuare nel rigoroso lavoro pastorale che portate avanti; così come vi incoraggio ad ascoltare e accompagnare i giovani e ad avere cura di quegli ambiti in cui la Chiesa in Turchia è chiamata a lavorare in modo speciale: il dialogo ecumenico e interreligioso, la trasmissione della fede alla popolazione locale, il servizio pastorale ai rifugiati e ai migranti».
Non nascondo la mia commozione. A me, consacrata dell’Ordo Virginum e missionaria laica fidei donum della diocesi di Milano, da quasi un quarto di secolo in questo Paese affascinante e complesso – che ho imparato a custodire, ascoltare, servire e amare – le sue parole sono arrivate dritte nel cuore, riempiendomi gli occhi di lacrime, confermandomi e spronandomi nella mia vocazione.
Sì, parole toccanti e quanto mai vere, soprattutto in questo periodo che sto vivendo a Konya, la gloriosa Iconium di San Paolo, dove ora, sola e senza sacerdote, con una comunità di 40 cristiani sparsi in una metropoli di due milioni e mezzo di abitanti, presso la chiesa di San Paolo – l’unica ancora attiva nel vasto territorio nel cuore dell’Anatolia – svolgo un servizio semplice, ma credo fondamentale: tenere le “porte aperte”, per essere ponte per ogni credente di qualunque fede, che desideri incontrare il Dio di Gesù e confrontarsi con il cristianesimo, sperimentando spesso cosa significa concretamente il primo annuncio.

Come tante fiammelle
Poi, il giorno successivo, sempre a Istanbul, la Santa Messa presso la Volkswagen Arena con 4000 persone, riunite da tutti gli angoli della Turchia. Un evento epocale impensabile: per la prima volta nella storia turca, una celebrazione eucaristica in un edificio pubblico per spettacoli.
Da Konya sono partiti in 12 alla volta di Istanbul, viaggiando tutta la notte in pullman per incontrare papa Leone. Altri hanno fatto viaggi altrettanto lunghi da Antiochia, Efeso, Smirne, Tarso, Trebisonda, Ankara… Come tante fiammelle, queste piccole comunità cristiane sparse sul vasto territorio della Turchia, si sono organizzate per ritrovarsi tutti insieme intorno al successore di Pietro.
Che bello rivedersi tra fratelli di ogni lingua e tradizione, che festa di giubilo! Una liturgia toccante e splendida nella sua semplicità, con quattro corali perfettamente sincronizzate e armoniose: bellissimo segno di unità della chiesa cattolica piccola, ma viva in tutta la sua ricchezza e varietà, esempio credibile dell’amore universale e infinito del Signore, capace di creare una fratellanza che supera ogni tipo di barriera. E insieme con noi anche rappresentanti delle Chiese sorelle, in primis il Patriarca ecumenico Bartolomeo I.
In un mondo dove c’è tanto urgente bisogno di pace, di comunione e di riconciliazione, attorno a noi, in noi e tra noi, questa celebrazione è stata una rinnovata Pentecoste, un piccolo grande miracolo così come auspicato dal Santo Padre: «All’interno di questa Chiesa Cattolica in Turchia sono presenti ben quattro diverse tradizioni liturgiche – latina, armena, caldea e sira -, ciascuna apportatrice di una propria ricchezza a livello spirituale, storico e di vissuto ecclesiale. La condivisione di tali differenze può mostrare in modo eminente uno dei tratti più belli del volto della Sposa di Cristo: quello della cattolicità che congiunge. L’unità che si cementa attorno all’Altare è dono di Dio, e come tale è forte e invincibile, perché è opera della sua Grazia».
Grazie papa Leone, perché con la sua visita tra noi ci ha uniti, riuniti e rafforzati.
Grazie per averci ricordato la bellezza e la preziosità del nostro essere Chiesa qui nella terra di Abramo, di Paolo, dei primi Padri, Santi, Sante e Martiri.
Continui a portarci nel cuore e nelle sue preghiere perché possiamo realizzare il suo invito per il tempo di Avvento e ancor più per la nostra vita, personale e comunitaria: «I nostri passi si muovono come su un ponte che unisce la terra al Cielo e che il Signore ha steso per noi. Teniamo sempre gli occhi fissi sulle sue sponde, per amare con tutto il cuore Dio e i fratelli, per camminare insieme e per poterci ritrovare, un giorno, tutti, nella casa del Padre».






