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Shoah

Delpini agli adolescenti: «Costruire una vita migliore perché non vogliamo essere indifferenti»

Lunedì 15 gennaio 120 ragazzi provenienti da 9 oratori hanno visitato i vagoni e binari della Stazione Centrale di Milano insieme all'Arcivescovo, che desidera inserire nella proposta educativa della Pastorale giovanile e oratoriana della Diocesi «la visita al Memoriale e ad altri luoghi qualificanti della città»

di Annamaria BRACCINI

16 Gennaio 2024
(Foto Agenzia Fotogramma)

«Ragazze e ragazzi che sanno la storia, che studiano per capire il mondo, che vogliono ascoltare e interpretare il presente, che cercano l’incontro costruttivo con persone che rendono migliori». Potrebbe essere questo l’identikit, con le parole dell’arcivescovo Delpini, dei 120 adolescenti che per il secondo appuntamento dell’iniziativa «L’Arcivescovo ti invita», lo hanno incontrato al Memoriale della Shoah, compiendo il percorso educativo all’interno della struttura arrivata al suo decimo anno di vita. Una realtà, quella del Memoriale nel cuore di Milano e sempre più nota che, come ricorda il presidente Roberto Jarach, «ha come obiettivo la valorizzazione per i giovani del valore della memoria al fine di formare le loro coscienze». E così, infatti, accade nei suoi spazi suggestivi e, insieme, concretissimi dei sotterranei della Stazione Centrale presso Binario 21 da cui furono deportati gli ebrei milanesi nell’indifferenza generale della città e degli italiani «brava gente».

Tutto questo racconta oggi il Memoriale e questa è anche la ragione per cui molti più ragazzi avrebbero voluto partecipare alla visita, rispetto ai 120 ammessi per questioni logistiche. Come spiega don Stefano Guidi, direttore della Fondazione degli Oratori Milanesi, che sottolinea la volontà dell’Arcivescovo di inserire, nella tradizionale proposta educativa della Pastorale giovanile e oratoriana della Diocesi, «la visita al Memoriale e ad altri luoghi qualificanti della città».

Presente anche la vicesindaco Anna Scavuzzo, proprio per la valenza formativa e anche civile dell’iniziativa: «Qui esiste un disegno educativo importante che possiamo condividere. Questo luogo parla di una storia del passato, ma che ci riconsegna quello che vogliamo essere, testimoniando l’importanza che ognuno dà alla dignità dell’altro, qualsiasi sia il suo credo».

Provenendo da 9 oratori di diverse Zone pastorali gli adolescenti, divisi in tre gruppi di cui uno accompagnato dall’Arcivescovo Delpini, hanno così camminato tra i vagoni e binari, nel buio illuminato dai piccoli sprazzi di luce del muro dei nomi dei deportati, sostando e riflettendo fino a riunirsi nell’Auditorium, dove il vescovo Mario si è rivolto a tutti loro, piccola parte dei 62 mila studenti che, nel 2023, hanno visitato il Memoriale (erano 3 mila nel 2013) e dei 45 mila che si sono già prenotati quest’anno, secondo quanto sottolinea Jarach.    

Abitare la città

Dall’abitare a Milano o in altri luoghi della Diocesi prende avvio monsignor Delpini nel suo intervento. «Non è lo stesso abitare a Milano o a Tel Aviv, in Brianza o nella valle della Bekaa, a New York o in Valsassina. Le possibilità offerte dai social inducono, forse, a immaginare in modo superficiale che si può essere da qualsiasi parte, ma è come essere senza un corpo o vivere da turisti. Abitare a Milano vuole dire, invece, toccare la città, meravigliarsi, e questo è il modo per sfuggire all’indifferenza come è scritto all’ingresso del Memoriale. Vorrei incoraggiarvi a chiedervi dove abitate, che cosa hanno fatto i vostri nonni, i vostri genitori? Cosa è successo a Milano nel 1944? La città, come il corpo, non è un limite, ma una definizione, un contributo a definire la propria identità e ci colloca laddove vi è stata una storia. Questo luogo è stato creato perché qualcuno ha pensato che abbiamo qualcosa da dire».

La vita non è un film  

Anche perché – e l’Arcivescovo lo dice chiaramente – la vita non un film. «La città vive di eventi, occasioni, spettacoli, sport e concerti, momenti imperdibili e rapidi passaggi che non lasciano traccia, che nascono e finiscono. Impariamo a considerare la vita non come un film: accade davvero che la gente soffra, ami, si odii e nessuno può dire “a me non interessa”».

Delpini Shoah
(Foto Agenzia Fotogramma)

Da qui l’invito, anzi potremmo dire l’editto. «Non essere indifferente, comincia tu a interessarti degli altri che non sono delle sagome, ma delle persone. Così la vita diventa interessante, prendila in mano in modo che serva a qualcosa. Qui avete visto che migliaia di persone sono state trattate come bestie. Se noi guardiamo alla nostra storia, forse sentiamo un senso di colpa o di risentimento. In questo tempo di guerra e di crudeltà, mi sono chiesto cosa pensare e mi sono convinto che non è il momento per dire troppe parole, ma per capire che se continuiamo a nutrire il senso di colpa che porta alla depressione o il rinserimento che porta a fare male agli altri, non arriviamo a niente. Prendete posizione: non stiamo a fare processi alla storia, ma non vogliamo più che succedano queste cose Mettiamo mano all’impresa di costruire una vita migliore proprio perché non vogliamo essere indifferenti».

Un’altra storia è possibile

Ma come scrivere questa storia, e chi potrà farlo? Le ragazze e i ragazzi, che l’Arcivescovo Delpini incoraggia a studiare, «che significa avere gusto per approfondire, perché senza sapere cosa è successo non possiamo evitarlo. La scuola è una cosa seria e occorre studiare anche oltre la scuola». E, ancora, giovani che «sanno ascoltare e interpretare il presente, non facendo raccolta di titoli di notizie, ma visitando le situazioni, il mondo, le istituzioni»; che sanno porre domande «a chi ne sa più di loro per capire e per sapere, anche su cosa è la politica, la scienza, su chi è Dio». Infine, la consegna a «cercare l’incontro costruttivo, anche in oratorio dove ci sono tante possibilità che possono aprire orizzonti e aiutare a renderci migliori, ad esempio, conoscendo giovani di altre culture, provenienti da altri Paesi. Siate ragazzi che si fanno avanti per dare una mano».

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