Quando il web diventa vetrina e linguaggio della visibilità
Collaboratore ufficio comunicazioni sociali

In un’epoca in cui la comunicazione digitale passa per immagini, storie e hashtag, il verbo flexare è diventato una delle espressioni più emblematiche del modo in cui ci raccontiamo online. Un termine giovane, figlio dei social e delle nuove generazioni, ma capace di dire molto anche agli adulti che vogliono comprendere meglio il linguaggio – e la logica – della cultura digitale.
L’origine del termine: dai muscoli ai like
Flexare deriva dall’inglese to flex, che significa “flettere i muscoli”, mostrare la propria forza. Ma sui social ha assunto un significato più ampio e simbolico: vuol dire ostentare, mettere in mostra qualcosa – un oggetto costoso, una vacanza da sogno, un momento di successo – per comunicare superiorità, stile, benessere.
Il gesto è semplice: una foto con il nuovo smartphone, una storia in piscina con cocktail colorati, un video TikTok con outfit firmato e sottofondo musicale accattivante. Il messaggio è chiaro, anche senza parole: “Guardate quanto sono cool”.
L’arte – e il rischio – dell’ostentazione
Ma flexare è sempre sinonimo di vanità o superficialità? Non necessariamente. Mostrare con orgoglio un risultato, condividere un traguardo, celebrare un momento bello è del tutto umano. I social, in fondo, nascono anche per questo: raccontarsi.
Tuttavia, il rischio è che il flex diventi solo forma, ostentazione vuota, confronto continuo con gli altri. In un ambiente come quello dei social, dove tutto è visibile e giudicato, l’ostentazione può trasformarsi in pressione, in insicurezza, in ansia da prestazione.
Il vero pericolo non è tanto flexare, ma vivere solo per flexare.
L’ironia come antidoto
Per fortuna, la rete è anche uno spazio creativo e autoironico. Sempre più utenti, soprattutto tra i più giovani, giocano con il linguaggio del flex in chiave satirica. Si flexa un panino gigante, un pigiama improbabile, una giornata “divano e serie TV” come se fosse un evento di alta moda.
Questa ironia è un modo per ridimensionare il culto dell’apparenza, per mostrare che si può “mettere in scena” se stessi senza prendersi troppo sul serio. È la dimostrazione che anche nel linguaggio digitale ci può essere leggerezza e consapevolezza.
Il bisogno di essere visti
Alla radice del flex c’è però un tema più profondo: il bisogno di essere notati, di essere riconosciuti. I social amplificano questo desiderio, offrendo una platea potenzialmente infinita. E allora il flex diventa una strategia: più mostro, più appaio, più esisto.
Ma attenzione: più visibilità non significa più valore. Confondere i like con l’autostima è uno degli inganni più sottili della cultura digitale.
Una parola-simbolo del web di oggi
Flexare è, in fondo, una delle parole chiave del nostro tempo: dice qualcosa sul nostro rapporto con l’immagine, con il successo, con la visibilità. Ma dice anche che possiamo scegliere come raccontarci. Con orgoglio, sì. Ma anche con verità, umanità e – perché no – un pizzico di ironia.
Alla prossima parola del web, per continuare insieme questo viaggio nel linguaggio che ci unisce… anche quando sembra dividerci.
