Don Alessio Albertini, Assistente nazionale del CSI, ci ha aiutato a leggere il documento vaticano «Dare il meglio di sé» sulla prospettiva cristiana dello sport e la persona umana. Ne sono emerse delle linee condivise di Pastorale dello Sport che possono aiutare a definire quale sia lo stile di una società sportiva dell'oratorio.


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Occorre innazitutto rendersi conto di una presenza: lo sport nei nostri oratori è di casa.

Basta riferirsi al libretto firmato dal card. Scola nel 2015 «Il tesoro nel campo» per avere un’idea dei numeri: 850 società sportive appartenenti a un oratorio, 80 mila iscritti, 10 mila adulti impegnati a vario titolo in queste società sportive (tra allenatori, dirigenti ecc.), parecchie società sportive con meno di 10 anni di vita, un terzo delle società sportive composte da 80/100 atleti, mentre un numero significativo di società conta 200 atleti.

 

«Un’esperienza che per la nostra Diocesi è molto significativa – sottolinea don Stefano Guidi,  responsabile del Servizio per l’oratorio e lo sport della Diocesi – con 1000 oratori e quasi altrettante società sportive. Rilevante nei numeri, sotto il profilo storico, ma soprattutto nei termini di un’alleanza educativa, di una partecipazione… Occorre registrare che forse, a volte esiste un “dare per scontato” all’interno del mondo religioso o una impostazione non sempre corretta del rapporto con l’esperienza sportiva. Un lavoro da riprendere: che cosa possiamo fare noi per recuperare un rapporto importante con il mondo dello sport come responsabili dell’oratorio e della comunità?».

 

L’incontro di giovedì 7 marzo, presso il Centro pastorale ambrosiano di Seveso, dedicato ai presbiteri e ai responsabili degli oratori, chiamati ad accompagnare il percorso formativo e spirituale dei gruppi e delle società sportive presenti in oratorio, è guidato da don Alessio Albertini, Assistente nazionale del Centro Sportivo Italiano. «Nella consapevolezza di una esperienza molto radicata all’interno dei cammini parrocchiali (e questo porta una ricchezza ma anche tante difficoltà) l’oratorio si conferma come il luogo privilegiato per l’alleanza fra la Chiesa e lo Sport» – introduce, prima di condurre in una riflessione sullo sport a partire dal documento vaticano «Dare il meglio di sé».

Il primo Documento “sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana”, realizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e pubblicato il 1° giugno 2018, ha avuto un lungo itinerario di preparazione, almeno 10 anni, a partire dallo schema di un altro documento ufficiale pubblicato nel 1995, la Nota pastorale «Sport e vita cristiana» della Conferenza Episcopale Italiana.

«Il titolo “Dare il meglio di sé” esprime il fondamento dell’esperienza sportiva, così come deve essere – spiega don Alessio -. Purtroppo la cultura sportiva di oggi, di cui siamo bombardati e che si riflette poi anche nel nostro mondo e a volte nel modo di gestire l’attività sportiva, che assomiglia a quei modelli, è che l’obiettivo non è dare il meglio di sé, ma vincere. E per questa vittoria si è disposti a tutto, in un’esagerazione totale. “Dare il meglio di sé” significa mettere a fuoco subito una scelta di campo. Lo sport per noi è dare il meglio di sé, per quello che uno può dare».

Una prospettiva motivata da due aspetti, due spinte forti dell’esperienza ecclesiale: a partire dal richiamo a una conversione pastorale a cui tutti siamo chiamati fortemente dal Papa e dalla CEI. Ripensando a una pastorale, con un’attenzione all’uomo concreto… lo sport fa parte dell’uomo concreto di oggi. Questa non deve far parte quindi dell’attenzione pastorale concreta di una comunità cristiana? Già nella Nota pastorale «Sport e vita cristiana» si chiedeva che lo sport, visto fino a ieri come un semplice gioco per la ricreazione, un diversivo da altre attività, non venisse più semplicemente considerato un divertimento accessorio di un mondo a sé, ma dovesse entrare nella pastorale ordinaria, cioè nell’attenzione ordinaria da parte di una comunità cristiana. Anche il documento finale del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” riporta: «Significativo è il rilievo che tra i giovani assume la pratica sportiva, di cui la Chiesa non deve sottovalutare le potenzialità in chiave educativa e formativa, mantenendo una solida presenza al suo interno».

«Il secondo aspetto – continua don Alessio – esprime l’idea della Chiesa in uscita, come la capacità di andare anche in terreni non prettamente propri dell’ambito religioso ma dove la gente abita, fino alle periferie esistenziali. Lo sport è il luogo dove raggiungi tante persone che non avresti mai occasione di trovare, incontrare. Contesti in cui dobbiamo annunciare la bellezza del Vangelo, anche a chi sembra non volerlo ascoltare. Il vero problema non è lo sport in sé, e neppure lo sport può pretendere che la Chiesa si occupi semplicemente di sport: il punto d’incontro dev’essere sull’atleta. Se noi possiamo dialogare e incontrarci è perché ci teniamo a quell’uomo di cui vogliamo occuparci. Emerge nel documento vaticano tutta una parte sull’antropologia. La vera domanda è: che cosa intendiamo per uomo? Chi è l’uomo riuscito? Se ci incontriamo su questo avremo allora modi per collaborare e sostenerci, altrimenti ci perdiamo…».

L’attenzione all’uomo come persona implica il tema dell’educazione, intesa come capacità di far crescere un uomo che sappia poi gestire la sua libertà nel mondo.

«È necessario tenere conto di una cosa: lo sport non è nato per educare, ma alcune sue caratteristiche sicuramente promuovono alcuni valori dell’uomo; alcuni sono sottolineati nel documento, innazitutto l’unità di corpo e anima, la libertà tra regola e creatività, impegno e sacrificio, individualismo e squadra, gioia e gratuità, coraggio, rispetto e uguaglianza».

Come ogni realtà umana, anche lo sport non è immune dal negativo e il documento mette in guarda dai rischi. In particolare sono quattro i pericoli che lo sport di oggi corre: lo svilimento del corpo, il doping, la corruzione e il tifo.

 

«Ricordo una frase di Papa Francesco, pronunciata il 7 giugno del 2014, e per me emblematica: “Se manca una società sportiva in parrocchia manca qualcosa… ma deve essere impostata bene, secondo i criteri della parrocchia, se non è così è meglio che non ci sia».

 

Ecco allora le attenzioni delineate da tener presenti per una pastorale dello sport:

-L’integralità della persona. Le persone sono un tutt’uno di anima e di corpo. A volte anche nelle nostre proposte educative il corpo come attenzione passa in secondo piano, ma è indispensabile educare il corpo. Educare al gesto sportivo, al confronto con gli altri, al sacrificio significa educare la persona, non solamente occuparsi di un aspetto.
Anche Papa Francesco quando ha parlato ai Cresimandi allo stadio Meazza, il 25 marzo 2017, aveva usato come espressione “cuore, mente e mani”. Papa Francesco incoraggia a considerare il gioco e lo sport come opportunità per un percorso formativo globale della persona, che coinvolge la testa, il cuore e le mani, cioè ciò che si pensa, ciò che si sente e ciò che si fa.

-Lo sport non è nato per educare ma è nato per vincere. Qualcuno da questa finalità ne ha ricavato una deriva (questione del doping, nazionalismi in certi periodi). È pur vero che ha una grande possibilità formativa, ma occorre usare nuovi linguaggi e modalità. Con lo stile di san Giovanni Bosco: bisogna amare, appassionarsi, a ciò che piace ai giovani, ai ragazzi, per far piacere loro ciò che piace di meno, così i giovani ameranno ciò che piace ai loro educatori.

-Lo sport non è un’attività spirituale, ma un’esperienza molto umana. Un’attività che piace molto ai ragazzi e può essere definita mondana, intesa come del mondo, e che come ogni esperienza mondana ha i suoi rischi, difficile per chi la gestisce nei nostri oratori da tenere sotto controllo, a volte sfugge, tenendo presente che lo sport deve seguire le leggi dello sport e considerando l’emergenza educativa di tutti, oggi.

-Il ruolo delle società sportive di oggi: per essere un po’ profetici nel mondo dello sport. Se lo sport di oggi segue il detto “Vincere non è importante: è la sola cosa che conti”… «Se la vittoria diventa il criterio assoluto con cui giudicare non verrano mai giudicati il miglioramento della persone, il gioco di squadra, l’impegno che uno ci mette, valori che fanno parte della vita umana, formativi anche dell’attività sportiva ma che valgono meno di niente in questa logica. Se lo sport è soltanto per i vincenti, aumenteranno gli scarti e gli avanzi, come li definisce papa Francesco. Noi invece vogliamo dare una possibilità educativa a tutti».

-Imparare ad accogliere la persona, lì dove si trova. Non dobbiamo accontentarci di aver lì i ragazzi, il nostro impegno ci chiede di portarli un po’ più avanti, di farli crescere un po’ di più. Diventa importante, per chi gestisce una realtà, una società sportiva, confrontarci su qual è l’immagine di uomo che vogliamo far crescere e se stiamo procedendo in questa prospettiva.

 

Riconoscendoci nella grande “squadra” del Signore Gesù, sapremo trasmettere questo stile ai ragazzi che frequentano le realtà e le società sportive dei nostri oratori, incoraggiandoli a «Dare il meglio di sé» nello sport, così come nella vita.

 

 

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