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Calcio

La coscienza fuori gioco

Balotelli, il razzismo e la lenta reazione di un mondo in letargo

Leo GABBI Redazione

27 Aprile 2009

In maniera molto più palese di altri episodi striscianti, il razzismo allo stadio è tornato a scuotere il Palazzo, sia sportivo, sia politico, finora sordo a ogni provocazione. Gli insulti razzisti a Balotelli durante Juventus-Inter ormai non sembrano più neppure una nota stonata rispetto alla dilagante illegalità. Ormai sembra regnare un’assuefazione all’insulto gratuito, alla denigrazione violenta, all’epiteto che oltre a offendere la famiglia del tal giocatore, tira in ballo il colore della pelle.
Ancora una volta, però, il calcio non è stato in grado di reagire con forza a questa barbarie. Ci si dissocia certo, si dà la colpa a una frangia isolatissima di teppisti, ma non si ha il coraggio di affrontare il problema alla radice. La partita a porte chiuse comminata alla Juventus conta poco, anche se è già qualcosa. Il presidente nerazzurro Moratti dice che, se fosse stato a Torino, avrebbe ritirato la squadra: ecco, forse solo un atto rivoluzionario, una presa di posizione coraggiosa, potrebbe farci uscire da questa impasse vergognosa, in cui l’arbitro pare impotente (e invece potrebbe fare molto), i giocatori aspettano le decisioni dell’arbitro senza reagire, mentre il caso del messinese Zoro – originario della Costa d’Avorio e preso di mira due anni fa dai “buuu” razzisti dei tifosi interisti – insegna che è possibile fare qualcosa, che non è vero che lo spettacolo deve continuare a ogni costo, che questa canea delinquenziale non solo deve finire, ma deve essere perseguita penalmente, appena accade, “senza se e senza ma”. In maniera molto più palese di altri episodi striscianti, il razzismo allo stadio è tornato a scuotere il Palazzo, sia sportivo, sia politico, finora sordo a ogni provocazione. Gli insulti razzisti a Balotelli durante Juventus-Inter ormai non sembrano più neppure una nota stonata rispetto alla dilagante illegalità. Ormai sembra regnare un’assuefazione all’insulto gratuito, alla denigrazione violenta, all’epiteto che oltre a offendere la famiglia del tal giocatore, tira in ballo il colore della pelle.Ancora una volta, però, il calcio non è stato in grado di reagire con forza a questa barbarie. Ci si dissocia certo, si dà la colpa a una frangia isolatissima di teppisti, ma non si ha il coraggio di affrontare il problema alla radice. La partita a porte chiuse comminata alla Juventus conta poco, anche se è già qualcosa. Il presidente nerazzurro Moratti dice che, se fosse stato a Torino, avrebbe ritirato la squadra: ecco, forse solo un atto rivoluzionario, una presa di posizione coraggiosa, potrebbe farci uscire da questa impasse vergognosa, in cui l’arbitro pare impotente (e invece potrebbe fare molto), i giocatori aspettano le decisioni dell’arbitro senza reagire, mentre il caso del messinese Zoro – originario della Costa d’Avorio e preso di mira due anni fa dai “buuu” razzisti dei tifosi interisti – insegna che è possibile fare qualcosa, che non è vero che lo spettacolo deve continuare a ogni costo, che questa canea delinquenziale non solo deve finire, ma deve essere perseguita penalmente, appena accade, “senza se e senza ma”. La provocazione non è una giustificazione Poi, certo, qualcuno dirà che durante il derby d’Italia, prima di essere insultato Balotelli ha vestito i panni di provocatore: è vero e non è un caso che l’educazione del ragazzo e inversamente proporzionale alla sua bravura. Ma questo non potrà mai essere un alibi, non può diventare una giustificazione a quello che si è sentito dagli spalti dell’Olimpico di Torino e che purtroppo si sente quasi ogni domenica in molti stadi italiani. Anche il presidente dell’Assocalciatori, Sergio Campana, invoca giustamente Lega calcio e Federazione a prendere seri provvedimenti, ma intanto potrebbe già lui annunciare uno sciopero di protesta dei suoi iscritti.C’è insomma una serie di scaricabarile a un livello superiore (dalla Lega alla Federcalcio, all’Uefa, alla Fifa) che ci sembra molto italiano e che temiamo non ci porterà ancora una volta da nessuna parte. E visto che certi presunti tifosi sembrano solo capire la logica del risultato (ma questa cultura attraversa tutta la società italiana) allora sarebbe ora di cominciare a dare partita persa a chi si esibisce in cori del genere, a dare punti di penalizzazione ai club.È già qualcosa di inedito (e infatti ha già scatenato le immancabili polemiche) la squalifica del campo bianconero da parte del giudice sportivo, con obbligo di disputare a porte chiuse la prossima partita in casa domenica contro il Lecce. Anche il presidente Uefa Platini ha dichiarato che le partite d’ora in poi verranno sospese al primo accenno di coro razzista: vedremo se l’applicazione sarà rigorosa.E a chi sostiene che si tratta di esagerazioni ricordiamo che all’estero lo stop delle partite è già avvenuto più volte: successe in Olanda, quando l’arbitro – bersaglio di insulti antisemiti – la prese sul personale e mandò tutti a casa, giocatori e tifosi dell’Ajax e del Psv. Un’altra volta l’attuale tecnico del Chelsea, Guus Hiddink, che nel 1992 allenava il Valencia, non fece iniziare una partita al Mestalla finché non fu rimosso uno striscione razzista. Se capiremo che siamo arrivati al capolinea, che le parole non bastano più, allora forse ci salveremo: come sempre in zona Cesarini.