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Speciale

Discorso alla Città 2025

Sirio 8 - 14 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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Riflessione

Tossani: «Discorso alla città, farsi avanti per incontrare il prossimo»

Nel pronunciamento dell’Arcivescovo riecheggia una parola-chiave della Lettera pastorale del cardinale Martini nel 1985, a indicare che alla base dell’impresa di “aggiustare il mondo” c’è sempre una interiore conversione personale. E Caritas testimonia che esempi di questo tipo non sono pochi

di Erica TOSSANI Direttrice Caritas Ambrosiana

10 Dicembre 2025
La Basilica di Sant'Ambrogio gremita durante il Discorso (foto Andrea Cherchi)

Qualcosa risultava familiare. Molto familiare. Sin dal primo ascolto. Ho lasciato vagare un po’ la memoria. Ho riletto il testo. E finalmente ho colto l’assonanza.

Nel Discorso alla Città che venerdì 5 dicembre monsignor Mario Delpini ha indirizzato a Milano, risuona l’eco di una memorabile indicazione affidata, quarant’anni fa, dall’Arcivescovo dell’epoca alle comunità diocesane, e più in generale ai territori ambrosiani dell’epoca. Tutto è pilotato da un riflessivo: precisamente, la forma riflessiva del verbo «fare». Che nel 1985 il cardinale Carlo Maria Martini utilizzò fin dal titolo della lettera pastorale «al clero e ai fedeli» sul tema della carità. E che torna nella seconda parte del Discorso 2025. Cambiano le epoche, si evolvono e si complicano le sfide, ma per il cristiano interessato a sintonizzare la «Città dell’uomo» sulle frequenze della «Città di Dio», per il cittadino alle prese con «il fascino e il rischio della democrazia», è sempre tempo – per dirla con l’Arcivescovo dei nostri giorni – di «responsabilità personale».

«Farsi prossimo»: era il 1985 e il cardinale Martini insegnò a una generazione, a una città, a un’intera diocesi, che l’esigenza storica della carità scaturisce da un impulso spirituale che si fa prassi pastorale, civica, organizzativa. La lotta alle ingiustizie, il contrasto delle povertà, la sollecitudine per le solitudini, la costruzione della pace richiedono prima di tutto un movimento interiore, un superamento di abitudini, di tradizioni, di convenienze, di paure escludenti, una conversione rispetto a letture prefabbricate, se non ideologiche della cronaca e della storia, che impediscono a ciascuno di noi di scoprirci prossimi a coloro che incrociamo “mezzi morti” lungo le nostre strade. Siamo chiamati non ad adattare un presunto “prossimo” alle nostre visioni del mondo e ai nostri interessi, più o meno generosi e legittimi, ma a farci prossimi: dunque ad approssimarci agli scartati e ai bastonati che potremmo comodamente scansare, lungo il tragitto della nostra esistenza, e di cui invece siamo esortati a scorgere, sotto la maschera di sangue e di abbandono, il volto di fratello e di sorella.

Chiamati ad approssimarci. Dunque a “farci avanti”. A compiere il primo passo, decisivo per quanto piccolo, in direzione di una convivenza possibile, di una società armonica, di una comunità accogliente. Di una città che monitora le crepe, compone le fratture, previene i cedimenti dell’edificio del bene comune che tutti abitiamo (e che tutti dovremmo sforzarci di custodire). Nel Discorso 2025 l’arcivescovo Delpini chiama a testimoni figure ordinarie, non eccezionali o eroiche delle nostre comunità (una coppia di sposi, una giovane sindaca, l’educatore, la responsabile del carcere, il commercialista e l’avvocato, l’operatore della sicurezza, l’imprenditrice, il politico, il giovane, infine il cittadino comune) per dire che è compito e possibilità di tutti e di ciascuno evitare le “minacce di crolli”. E mettere mano “all’impresa di aggiustare il mondo”.

Erica Tossani

Il movimento riflessivo, il “farsi” (farsi prossimo, farsi avanti) che richiede in origine un lavoro interiore, su noi stessi, diventa dunque proiezione di consapevolezze e di energie rivolte alla città, condivise (almeno potenzialmente) con tutta la società. Un riflessivo che diventa collettivo. In fondo è ciò che Caritas prova a fare da sempre: non organizzare una batteria separata di specialisti dell’ascolto e della solidarietà, ma provocare l’intera comunità a farsi carico della carità. E di ogni possibile forma di fraternità.

Minacce di crolli, a dire il vero, gli operatori e i volontari Caritas ne registrano tutti i giorni. Quelle denunciate da monsignor Delpini. E molte ulteriori: il lavoro povero se non schiavistico, politiche e burocrazie che ledono la dignità dei migranti, l’azzardo che illude e strangola anzitutto i poveri, lo stigma e l’abbandono cui sono condannate le persone con malattia mentale, l’oltraggiosa tratta di esseri umani, l’attitudine alle violenze di genere e intrafamiliari… Sono solo alcuni esempi: il catalogo dei mali del nostro tempo, anche nella nostra città, non è un elenco breve. Ma – benché non sia cultura dominante – Caritas è testimone anche del “farsi avanti” che scaturisce per ragioni insondabili e imprevedibili nei percorsi di vita di tante persone, e autorizza a confidare in un domani più umano. Alla fine di un anno giubilare in cui siamo stati pellegrini di speranza, cerchiamo la roccia della fede e della fraternità, su cui fondare la casa comune: non è facile, non è impossibile.