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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Rivista

L’Arcivescovo: «“Il Segno” è per chi cerca “segni” di speranza nel quotidiano»

Alla presentazione del mensile diocesano rinnovato monsignor Delpini ha parlato dei profughi ucraini («dall’accoglienza un futuro da costruire per dare volto alla città di domani») e della visita pastorale a Milano («cerco di ritrovare i segni del Vangelo che si fa storia»)

29 Marzo 2022
Da sinistra: Luciano Gualzetti, monsignor Mario Delpini, Stefano Femminis e don Fabio Landi

«L’accoglienza non sia solo soccorso per le emergenze, ma soprattutto futuro da costruire per dare volto alla città di domani»: lo ha detto l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, con riferimento alla crisi ucraina, durante la conferenza stampa di presentazione della versione rinnovata del mensile diocesano, «il Segno» (vedi qui la presentazione).

L’incontro – svoltosi nella parrocchia Beata Vergine Addolorata in San Siro – è stato l’occasione per un dialogo tra i giornalisti presenti e l’Arcivescovo, impegnato da gennaio nella visita pastorale che lo porterà a visitare tutte le parrocchie di Milano, mentre la metropoli, e la Diocesi tutta, si mobilitano per accogliere i profughi ucraini in fuga dalla guerra.

Landi: «Sul territorio e proiettati al futuro»

In apertura è intervenuto don Fabio Landi, sacerdote della Diocesi e dal numero di aprile nuovo direttore de «il Segno». Dopo avere ringraziato il predecessore, don Giuseppe Grampa, alla guida della rivista per 23 anni, Landi ha sottolineato «le due linee portanti nelle quali vorremmo rilanciare il giornale: il legame con il vasto territorio della Diocesi e lo sguardo proteso in avanti verso i cambiamenti del mondo in cui viviamo. Desideriamo che “il Segno” sia sempre di più segno di comunione e di legame tra i diversi luoghi e le diverse esperienze di Chiesa della nostra diocesi. In un tempo in cui gli spazi sono contesi e difesi, invasi e protetti perché altri ne siano esclusi, abbiamo più che mai bisogno di spazi da condividere, nei quali sentirci a nostro agio nel prendere la parola e gratificati nell’ascoltare gli altri. D’altra parte, oggi ci si sente spesso disorientati, persi. Abbiamo bisogno di aiutarci tutti insieme a trovare il segno di una possibile coerenza, come una specie di segnale stradale che indichi un percorso, cioè una direzione e un senso, per non girare a caso».

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Gualzetti: «Dal mensile un valido aiuto per Caritas»

Tra le collaborazioni fisse che arricchiranno ogni mese “il Segno”, uno spazio curato da Caritas Ambrosiana, che nel numero di aprile illustra i progetti per fronteggiare l’emergenza umanitaria generata dalla guerra in Ucraina. Una delle prime parrocchie ad avere ospitato i profughi è proprio quella di San Siro, sede della conferenza stampa.

Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, dopo aver presentato i numeri dell’accoglienza in Diocesi, ha affermato: «La nuova stagione del mensile costituisce una significativa opportunità per tutti gli organismi diocesani. A cominciare da Caritas. Nella nostra azione quotidiana, infatti, ci troviamo a fare i conti con fenomeni complessi, sia sul versante delle emergenze, come avviene in queste settimane, sia riguardo a forme di disagio, esclusione e povertà ormai cronicizzate nelle nostre comunità. Questi scenari vanno affrontati con competenze sempre più consapevoli da parte di operatori e volontari. Ma meritano anche di essere raccontati e spiegati a fedeli e cittadini, perché ne prendano coscienza e non deleghino agli specialisti la tensione per la cura, per la solidarietà, per la giustizia. Un mensile rinnovato, e sempre più capace di analisi e approfondimento, può costituire per Caritas un valido aiuto, nell’esercizio della sua costitutiva “funzione pedagogica”. E Caritas può rappresentare una preziosa fonte di informazioni e notizie, al fine di rendere più ricco e aderente alla realtà il racconto del nuovo “Segno”».

L’Arcivescovo: «Una voce per la Chiesa dalle genti»

Nel suo intervento, l’Arcivescovo ha anzitutto sottolineato l’importanza del rinnovamento della rivista diocesana: «Si rivolge a gente che cerca nel quotidiano “segni” per non disperare dell’umanità e diffida dell’informazione finalizzata a sedurre e a vendere, invece che a rendere più desiderabile la vita e più abitabile la terra. Presento “il Segno” come uno strumento per gente che vuole essere pensosa, senza pretendere d’essere esperta, che vuole essere informata sulla terra che abita, su quello che avviene nelle comunità cristiane, sui gemiti e le speranze di questo popolo numeroso, fiero di essere “di Milano”, e di portare qui sapienza di popoli, domande ed energie di altri continenti. Una voce per la Chiesa dalle genti».

E allargando lo sguardo alla visita pastorale, iniziata lo scorso 13 gennaio, che lo sta portando a incontrare tutte le parrocchie di Milano (tra cui, a fine aprile, proprio il decanato di San Siro), monsignor Delpini ha aggiunto: «Nei miei incontri cerco di ritrovare i segni del Vangelo che si fa storia, istituzione, iniziative pastorali e solidali. Noto però che la Chiesa e il Vangelo sono spesso ritenuti non interessanti e mi chiedo perché. Vorrei fare intravedere tracce di un umanesimo della speranza».

Alla domanda sulle fatiche e i segni di speranza nella Milano che sta uscendo dalla pandemia l’Arcivescovo ha risposto: «Preoccupante il problema dell’emergenza educativa: l’abbandono della scuola o dell’oratorio può sfociare in depressione, bullismo. Riscontro, inoltre, nelle fasce della popolazione più adulte una lentezza nel tornare alla vita di comunità e alle celebrazioni in presenza. Tra i segni incoraggianti vedo una carità operosa e intelligente che riguarda tutte le situazioni di vita. Nei Consigli pastorali incontro tanta gente che ha a cuore la propria comunità. A volte però vedo poco entusiasmo, quasi più una tenacia della sopravvivenza che uno slancio della missione».

Infine, con riferimento alla disponibilità all’accoglienza dei profughi ucraini manifestata da tante parrocchie e famiglie della Diocesi, sotto il coordinamento di Caritas Ambrosiana, l’Arcivescovo ha concluso: «C’è un tessuto sociale più ben disposto all’accoglienza rispetto ad altre ondate migratorie. Forse perché questi profughi sono percepiti come più vicini a noi, non solo per motivi geografici: curano e assistono i nostri anziati e malati».

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