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Incontro

Giovani stranieri a Milano, ecco un «Seme» di futuro

Con gli adolescenti di due oratori l’Arcivescovo ha trascorso una serata con i minori non accompagnati arrivati in Italia da diversi Paesi e accolti dalla Comunità del Consorzio Farsi prossimo. Per loro e per tutti tre consegne: riconoscenza, grinta e responsabilità

di Annamaria BRACCINI

5 Dicembre 2023

Il «grazie» che dobbiamo dire tutti, la grinta per vivere con coraggio la vita (specie quando è in salita), la responsabilità verso gli altri e verso Dio. A lasciare queste tre consegne presso la Comunità «Il Seme» è stato l’Arcivescovo, accolto da un applauso affettuoso nel salone dell’oratorio della parrocchia di San Pio X (Comunità pastorale San Giovanni il Precursore), per vivere con oltre un centinaio di giovani il primo di tre incontri ideati per questo anno pastorale.

L’incontro

L’Arcivescovo ha infatti deciso di invitare i ragazzi a ritrovarsi con lui «in tre luoghi importanti della città per lanciare un messaggio di amicizia e di pace». Da qui la scelta del primo incontro alla Comunità «Il Seme», una realtà del consorzio Farsi prossimo di Caritas Ambrosiana, che dal 2018 accoglie una decina di minori stranieri non accompagnati, principalmente nordafricani, garantendo loro protezione, tutela e sostegno nel percorso di crescita e integrazione.

L’arrivo di monsignor Delpini

Successivamente, per preparare la Giornata per la memoria (27 gennaio), lunedì 15 gennaio alcuni adolescenti visiteranno con monsignor Delpini il Binario 21 della Stazione Centrale, oggi Memoriale della Shoah. Infine, il 20 marzo l’appuntamento sarà al Giardino dei Giusti di Milano, nel quale ogni anno vengono piantati nuovi alberi in memoria di donne e uomini che hanno aiutato le vittime di genocidi, persecuzioni, regimi totalitari. E tutto «perché chi vive in oratorio non si chiude nelle attività oratoriane, ma si apre agli altri, soprattutto a coloro che sono più in difficoltà nella vita, e perché l’oratorio educa all’attenzione alla società e gli altri». Come ha ricordato in apertura don Stefano Guidi, direttore della Fom, cui erano accanto il direttore di Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti, il responsabile della Comunità pastorale don Giuseppe Lotta, Giovanni Romano, referente della Comunità «Il Seme», e Matteo Zappa, responsabile Area Minori di Caritas.

Animatissimo e coinvolgente l’andamento della serata che ha visto la presenza dei ragazzi accolti a «Il Seme», al «Martignoni» in zona Barona, alla «Soglia di Casa» di Villapizzone (tutte facenti parte di Farsi prossimo) e qualcuno dei 18-19enni già indirizzati all’autonomia in appartamenti. Di fronte a loro i coetanei di due oratori di Sesto San Giovanni, San Luigi (Parrocchia Santo Stefano) e Rondinella della Comunità pastorale Santa Maria Ausiliatrice e San Giovanni Bosco dei Salesiani.

Si parte dividendosi e ricongiungendosi in gruppi a seconda di alcune parole d’ordine o preferenze, con i giovani che si mescolano tra chi ama la pizza di qua, chi il kebab all’altro lato del salone, scegliendo tra mare e montagna, caldo o freddo, proprio a indicare il dinamismo delle identità con quei punti di contatto ai quali magari non si pensa. Insomma, che cosa ci accomuna e che cosa distingue e come entrare in relazione. Ad animare questi momenti Francesco e Serena, educatori del Servizio appartamenti della cooperativa Farsi Prossimo e la responsabile, Elena Jona.

L’applauso che ha accolto l’Arcivescovo

Le testimonianze

Poi le brevi presentazioni di alcuni ragazzi accolti, come Ussumane, maggiorenne, originario della Guinea Bissau, che dice: «Per me è stato molto difficile, abitavo in via Padova, oggi sono a Villapizzone, frequento la terza media e un corso da pizzaiolo, mi manca solo il passaporto, ma forse la settimana prossima arriverà…». O come Miter, albanese, 18 anni, in Italia da un anno e sette mesi, che fa il cameriere in un bar a Villapizzone. Così anche il coetaneo Mahan, iraniano che ha studiato in Ungheria e prosegue a Milano, che ringrazia «perché qui ho trovato un’opportunità per vivere».

Youssef, 17 anni, sta al «Martignoni» da un anno, ma ha già imparato bene l’italiano grazie alle app, fa la terza media e si arrangia con il lavoro «come aiuto cuoco, lavapiatti, qualsiasi cosa perché sogno di avere un business personale. Voglio ringraziare tutti. So che ci sono degli italiani che pensano male degli stranieri. Invece no: tra noi ci sono persone che hanno voglia di fare, di studiare, di lavorare, di costruire un futuro migliore».

E si va avanti con l’albanese Astrit che studia termoidraulica, è scout e, in estate, lavora «per mettere via un po’ di soldi, perché, dopo le superiori vorrei andare all’Università», come spiega sorridendo e ripetendo: «Qui ho trovato i migliori educatori del mondo». Ci sono anche Faizan che viene dal Pakistan, fa il meccanico e da una settimana è passato dalla Comunità a un appartamento e molti altri. Tutti mandano soldi a casa «perché c’è tanto bisogno», dice uno di loro. Tutti sognano, ma con i piedi ben piantati per terra e con l’orgoglio di raccontare chi erano, chi siano ora, come vorrebbero essere domani, magari dopo aver attraversato a piedi undici Paesi per arrivare in Italia. Non manca chi, come Gejsi, diciottenne albanese, ha già fatto un po’ di carriera, perché lavora come pizzaiolo in una famosa catena italiana in centro: «Se hai voglia di lavorare, lavori. La mia speranza è vivere tranquilli, stare bene, non disturbare nessuno. Sono cristiano cattolico: se tu fai bene alla gente, il bene ti ritorna. Mi piace fare il bravo ragazzo, mentre in Albania stavo prendendo una brutta strada».

Dopo i ragazzi accolti, parla chi in Italia c’è nato e, naturalmente, a quell’età studia. Vite normali, come quelle di Irene e Greta, impegnati negli studi sociosanitari, narrate da voci che paiono essere un poco intimidite da ciò che hanno appena ascoltato.

L’intervento di monsignor Delpini

L’intervento dell’Arcivescovo

«Io mi chiamo Mario, sono il più vecchio di quelli che sono qui, sono l’Arcivescovo di una Chiesa cattolica organizzata, una grande Diocesi – dice infine monsignor Delpini -. Mi sembra che potrei commentare questo incontro con tre parole. La prima è gratitudine, riconoscenza. Tutti dobbiamo dire grazie. Anche voi giovani che avete avuto una storia meno complicata e faticosa degli altri. Nessuno si è fatto dal niente, tutti siamo frutto di una storia, per questo bisogna imparare a dire grazie».

La seconda parola è «grinta»: «Quella voglia di fare che diventa tenacia, capacità di resistere quando le cose sono faticose, perché non vogliamo fermarci prima di avere raggiunto la meta. Infine, la responsabilità: pensare alla famiglia, agli altri, a quelli che non hanno tutto facile perché nessuno vive per se stesso. Responsabilità anche di fronte a Dio da cui abbiamo ricevuto la vita: dobbiamo sentire la responsabilità di fare del bene, Dio non abbandona chi ha fiducia di lui».

E, alla fine, spazio per la cena conviviale tutti insieme, compreso l’Arcivescovo, che al termine visita anche i locali della Comunità.  

 

 

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