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«Soul», spiritualità in festival

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Preghiera

Dal tetto del Duomo splende Milano, città delle meraviglie e delle genti

La meditazione guidata dall'arcivescvo Delpini sulla terrazza della cattedrale all'alba, accompagnato dal violoncello di Issei Watanabe e dalle letture di don Paolo Alliata, è stato uno dei momenti più intensi del Soul Festival

di Annamaria BRACCINI

17 Marzo 2024

Milano, «la città delle meraviglie» che, all’alba dell’ultimo dei 5 giorni dedicati alla “meraviglia, vigilia di ogni cosa” da Soul Festival, è ancora più meravigliosa. Salendo sulle Terrazze del Duomo – nel buio della notte che sta lasciando il posto al sorgere del sole, in un cielo azzurro tenue striato di rosa – e guardando la città ancora addormenta in una mattina di domenica che sembra come tante e che, invece, spalanca un’emozione inattesa, fatta di poesia e bellezza, arte e meditazione. Come quella con cui l’Arcivescovo suggella l’evento-clou della kermesse, appunto, con l’esperienza meditativa «Ma la gioia viene al mattino», accompagnata dalle esecuzioni musicali di Issei Watanabe al violoncello (curate da don Luigi Garbini) e dalla lettura, affidata all’attore Alessandro Castellucci, di brani poetici e letterari scelti da don Paolo Alliata che, per ciascuno, ne traccia una breve introduzione. Evento per cui un centinaio di persone (questo il limitato numero permesso, con una prenotazione andata esaurita in poche ore) vive, davvero, “lo straordinario nell’ordinario”, come recita uno degli slogan di “Soul”.

E così il vescovo Mario – cui sono accanto il vicario episcopale e co-curatore del Festival, monsignor Luca Bressan, il vescovo e vicario per la Zona I-Milano, monsignor Giuseppe Vegezzi e il moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti – alza il suo inno alla città che, ai piedi della Madonnina e con i suoi tanti skylines che paiono fare da corona alla Cattedrale, la casa di tutti i milanesi -, sorprende anche lui.

Milano città delle meraviglie

«Milano, tu mi sorprendi, Milano città delle vetrine, della gente che non sta in vetrina, tu mi stupisci: Milano dietro le vetrine, dietro i luoghi comuni, le frasi fatte, perché là c’è la gente, la gente delle meraviglie, non le sagome senza spessore alle quali è facile affibbiare etichette, non i manichini senza cuore e senza cervello, utili solo per esibire quello che si può vendere e quello che si può comprare. Tu mi sorprendi Milano, per la gente delle meraviglie, città dei poeti e degli innamorati». Innamorati come il “barbun” che «purtava i scarp de’tennis e rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore» della celebre canzone di Enzo Jannacci il cui testo – ed, effettivamente, qui la sorpresa c’è tutta – l’Arcivescovo cita.   

E si prosegue con la città delle «donne equilibriste tra casa e ufficio, figli da accudire e nonni da curare, cattedre universitarie e figli adolescenti, bilanci milionari e spiccioli da non sprecare. Mi sorprendi, Milano, per le donne, per la gente seria che parla poco e aggiusta i danni dell’avidità e dell’idiozia».

Milano città delle genti

Così come è sorprendente la Milano delle genti, «dell’accoglienza e dell’impossibile residenza, città di tutti e di nessuno. Sorge il sole e, sulle guglie del Duomo, sembra risvegliarsi un mondo: come si fa a non cantare, a non pregare?», scandisce monsignor Delpini che pronuncia queste parole anche in spagnolo e inglese prima di recitare le famose strofe di O mia bela Madunina.

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Il pensiero va a quando in questi stessi giorni di marzo del 2020, nel momento più tragico della pandemia, l’Arcivescovo sulla stessa terrazza, aveva affidato la città deserta e stravolta alla  Madonnina con un’immagine che ha fatto il giro del mondo. Forse, anche per questo, la conclusione della sua meditazione è con la Pentecoste del Manzoni per questa «Milano delle bestemmie e delle preghiere, dell’invocazione e della mistica, Milano del Manzoni e di Gadda». «Milano, Milano: su di te sorge il sole come per guidare nella notte chi cerca la ragione per vivere. Voi che siete qui mi sorprendete, continuate a sorprendermi domani».

Lo stupirsi di ogni giorno

Con quella sorpresa palpabile che, tra musica e silenzi e parole, aveva poco prima suscitato il momento letterario. 

«Da sempre l’attesa dell’alba è immagine dell’uomo e della donna che sanno attraversare i tempi duri della vita con il coraggio di non disperare. Il buio si scioglierà in luce, le tenebre matureranno nella gioia del mattino, il dolore troverà il suo sentiero per la pace, l’angoscia vibrerà in un fremito di consolazione». Chi si sveglia questa mattina possa godere del nostro ricordo di bene e il nostro cuore, la dimensione più vitale di noi stessi, possa destarsi con la luce del giorno a una migliore consapevolezza e senso di responsabilità umana. Ci accompagnano 8 testimoni, uomini e donne, che hanno conosciuto l’esperienza della meraviglia e se, come dice Chesterton, “il mondo morirà non per mancanza di meraviglie ma di meraviglia”, questi 8 hanno tenuto in vita il mondo», dice don Paolo Alliata avviando la lettura che va da Paul Verlaine a Eric-Emmanuel Schmitt, dal sacerdote polacco Jan Twardowski, a Risurrezione, l’ultimo romanzo di Tolstoj «che – spiega il sacerdote – ci regala una grande speranza, e ben si capisce appena inizia la lettura: “Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra”, la primavera “era primavera anche in città”, anche “tra le lastre di pietra”».

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Si continua, poi, con Mariangela Gualtieri, L’idiota di Dostoevskij e i Diari di Ionesco per arrivare, infine, a Wislawa Szymborska che, nei versi iniziali di Disattenzione, offre la sintesi di tutto quello che ha voluto dire «Soul»: «Ieri mi sono comportata male nel cosmo. Ho passato tutto il giorno senza fare domande, senza stupirmi di niente». Da qui l’auspicio: «La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre». Anche perché ogni giorno abbiamo davanti 1440 minuti di occasioni, come suggerisce Szymborska con l’auspicio cui dà voce Alliata. «Accompagnati dalle parole di questi 8 testimoni, chiediamo di crescere nella gratitudine di essere vivi, semplicemente. Chiediamo che questa gratitudine diventi in noi un impegno a farla finita con la recriminazione per quello che non c’è».

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