«Abbiamo capito, dalle parole di papa Leone pronunciate prima e durante il suo viaggio, che il Libano è talmente prezioso agli occhi della Chiesa che lui lo farà prezioso agli occhi del mondo. Siamo fiduciosi di poter vivere qualcosa di diverso, cambiando il corso della storia, a condizione di continuare a vedere la nostra vocazione radicata in Cristo. Di questo sono convinti specialmente i giovani: riprendiamo in mano la nostra vocazione».
Monsignor César Essayan, vicario apostolico di Beirut, vescovo della Chiesa latina del Libano, parla con emozione della visita che il Santo Padre ha compiuto nel Paese dei cedri, dal 30 novembre al 2 dicembre scorsi, nel contesto del primo viaggio apostolico svoltosi, come prima tappa, in Turchia per i 1700 anni del I Concilio Ecumenico di Nicea.
Accanto al Vicario apostolico, l’Arcivescovo, il rettore del Seminario Redemptoris Mater di Beirut, padre Bruté De Rémur, e don Carlo Giorgi – milanese di origine, da 9 anni prete in Libano -, per una serata di testimonianza che, nella parrocchia di Santa Barbara a San Donato milanese, vede riuniti tanti fedeli.
La speranza rinata con la visita del Papa
Dopo la Messa, presieduta dal vescovo Mario e concelebrata anche dal prevosto, don Umberto Bordoni, il dialogo prende avvio, proprio dalle parole di monsignor Essayan che dice. «Il Libano si sente una terra non sicura, però primane bellissima. É una continua avventura di evangelizzazione e di ricostruzione delle nostre persone per rimanere fedeli a Cristo, in una terra di guerra, ma anche di corruzione. Se c’è la guerra, infatti, è perché ci siamo venduti ai nostri capi politici e alle grandi potenze. Ma noi ci rigeneriamo ogni giorno con la preghiera, l’Eucaristia, l’incontro con la Parola di Dio, rispondendo a una grande domanda che la gente si è posta – “Dove è il Signore?” -, soprattutto dopo l’esplosione al porto di Beirut». La terribile tragedia che portò, nell’agosto del 2020, alla morte di 218 persone con il ferimento di 7000, e dove il Papa ha sostato in preghiera in uno dei momenti più simbolici e intensi della sua visita.

«Quando abbiamo iniziato a soccorrere i feriti e gli sfollati di Beirut, non avevamo un soldo, ma sono arrivate tante donazioni inaspettate e siamo rimasti con la gente», ha proseguito il Vescovo. «Dio è là dove lo testimoniamo, questa è la ragione per alzarsi ogni mattina, lottando per andare avanti. Che la Chiesa rimanga testimone di Cristo è la nostra grande sfida: abbiamo bisogno di una risurrezione per poter servire dappertutto. Nei miei 9 anni di Episcopato ho toccato con mano cosa voglia dire la Chiesa universale, la Chiesa come una famiglia che ha le dimensioni del mondo». Da qui il ringraziamento alla Chiesa ambrosiana e l’invito rivolto a monsignor Delpini a recarsi in pellegrinaggio in Libano.
«Avevamo tante timori per l’est del nostro Paese preso dalla Siria, per il sud a causa di Israele, per l’espansione della Turchia. Questa paura è stata alimentata dai giornalisti e dai partiti politici allo scopo di dividere i libanesi. L’esasperazione dell’appartenenza religiosa e il fondamentalismo hanno portato a uno scontro aggressivo anche tra noi, ma tutti siamo testimoni che la guerra non porta da nessuna parte, porta solo disumanità e la presenza di papa Leone ci ha dato nuovo coraggio per il nostro Paese che è un “messaggio”, come lo definì san Giovanni Paolo II», ha aggiunto Essayan a cui ha fatto eco monsignor Bruté De Rémur.
Preparare i giovani
Richiamando il ruolo formativo del Seminario Redemptoris Mater, sostenuto dalla Fondazione milanese San Marco per il dialogo interreligioso e per il quale si raccolgono le offerte durante la Messa e nella successiva cena benefica, il rettore osserva. «Prepariamo i giovani a essere persone che prendono sul serio le parole del Vangelo, continuando a vivere in Libano. La grande tentazione è quella lasciare il Paese, invece dobbiamo rimanere e credere nella nostra terra. Il Seminario in questo sta facendo meraviglie, spargendo tale convincimento dappertutto. Io sono stato personalmente impressionato dal fatto che il Papa – che anch’egli ha lanciato un appello specialmente ai giovani a non abbandonare la loro terra – abbia detto che era venuto per consolare e che si è sentito consolato». Da qui la missione della Chiesa libanese definita «radicale» da De Rémur. «La guerra sempre fa sorgere degli eroi, ma il Papa ha aperto l’era di un nuovo eroismo della pace, dell’amore, del perdono, offrendo delle linee guide per noi cristiani in Medio Oriente e richiamandoci all’unità in vista dell’appuntamento a Gerusalemme nel 2033. Essere accoglienti, benevoli e amare è una forma eroica di vivere che si ha con la grazia del Signore. Questi sono i germi di speranza che vogliamo annaffiare».

Così è don Carlo Giorgi, formatosi in quello stesso seminario, a sottolineare. «La malattia che colpisce spesso anche i cristiani in Medio Oriente è l’arroganza, il credersi migliori degli altri, ma in Libano si è realizzata la parola di Nicea, anche nella preparazione della visita di Leone XIV che ha impegnate tutte le Chiese. C’è stato un lavoro di comunione molto faticoso, ma alla fine lo abbiamo fatto e fatto insieme. I giovani in Libano non riescono più a sognare, ma questa visita ha ribaltato la percezione perché ora sono, siamo convinti che la pace è possibile, a partire dal vedere che è possibile lavorare insieme».
Sostenere il Libano
Infine, è l’Arcivescovo a suggellare l’incontro. «Devo dire tutta la mia ammirazione per la gente del Libano dove accadono miracoli oltre che tragedie. Quando vi era la guerra in Siria, questo Paese ha accolto un numero enorme di profughi, anche se questo ha reso più difficili gli equilibri interni. Questa povera gente, a prescindere dall’essere musulmani o cristiani, è stata accolta con una modalità che non vede chi fugge come un profugo, ma persone da aiutare. Il Libano è un Paese bellissimo e di cultura con un patrimonio ammirevole e anche per questo, credo, che proviamo tanta simpatia, ma il rischio che si riduca il numero dei cristiani in questa terra è molto forte. Quindi, occorre farsi avanti: incoraggio tutti voi a sostenere il Libano».






