Da Vatican News
«Qui la pace è un desiderio e una vocazione, è un dono e un cantiere sempre aperto». La pace ha bisogno di gesti concreti, di tenacia, coraggio, spirito di sacrificio, pazienza, preghiera. Con quella che doveva essere la piantumazione di un “cedro dell’amicizia” nella sede del Palazzo presidenziale, sulla collina di Baabda che domina la capitale Beirut (diventata un momento in cui il Papa ha innaffiato semplicemente un piccolo esemplare all’interno, a motivo delle condizioni meteo non favorevoli), si espone il segno di una volontà condivisa e pubblica. Acqua per tenere viva la speranza: un gesto che introduce all’incontro di Leone XIV con le autorità e i rappresentanti della società civile e il corpo diplomatico del Libano, terra ricca di questa varietà autoctona che ne costituisce una delle peculiari bellezze naturali. Sono circa 400 le persone riunite nel “Salone 25 Maggio”, mentre intanto il Papa firma il Libro d’Onore nella hall della residenza, con l’augurio gioioso di «ogni bene a tutto il popolo libanese, pregando affinché regni la PACE».
Il cristiano maronita Joseph Aoun, in carica dallo scorso gennaio – dopo un vuoto di potere di oltre due anni, a causa di divergenze tra le forze politiche nel trovare un accordo per il successore di Michel Aoun, in particolare per i veti dei partiti sciiti Amal ed Hezbollah – apre agli onori di casa con le foto di rito, lo scambio dei doni e l’animazione di musicisti e il canto corale di un gruppo di bambini affetti da cecità e sordità. La visita di cortesia comprende l’incontro con Nabih Berri, Presidente del Parlamento libanese, fondatore del movimento Amal, e con il Primo Ministro Nawaf Salam, membro di un’importante famiglia musulmana sunnita di Beirut, nel 2007 nominato ambasciatore del Libano presso le Nazioni Unite, incarico che ha ricoperto per dieci anni.

La supplica di Aoun: sia preservata la libertà del Libano
Il saluto che Aoun rivolge al Pontefice ha il tono di una supplica: «Santo Padre, la imploriamo di dire al mondo che non moriremo, né ce ne andremo, né ci dispereremo, né ci arrenderemo». Ricorda la fede grande del popolo libanese e la speranza di «guarire le menti, i cuori e le anime dall’odio, dalle guerre e dalla distruzione». Esalta una terra che è «la terra della libertà per ogni essere umano – afferma – e della dignità di ogni essere umano. Un Paese unico nel suo genere, dove cristiani e musulmani sono diversi nelle credenze ma uguali nei diritti, sotto una Costituzione fondata sull’uguaglianza tra loro e sull’apertura verso ogni persona e ogni coscienza libera». Preservare il Libano, aggiunge, è davvero un dovere umano fondamentale, perché «se questo modello di convivenza paritaria e libera tra persone di fedi diverse fallisse, non sarebbe possibile replicarlo in nessun altro luogo». E precisa: «Se i cristiani in Libano dovessero scomparire, il delicato equilibrio crollerebbe e con esso la giustizia. Allo stesso modo, qualsiasi danno alla comunità musulmana in Libano destabilizzerebbe l’equilibrio e minerebbe anche la giustizia. La caduta del Libano, causata dalla perdita di una qualsiasi delle sue componenti integranti, favorirebbe l’ascesa dell’estremismo, della violenza e dello spargimento di sangue sia nella nostra regione che nel mondo».
Ci vuole tenacia per costruire la pace
Il discorso di Leone XIV, pronunciato in inglese, è in gran parte incentrato sul significato di essere operatori di pace oggi in un contesto molto complesso, conflittuale e incerto. C’è l’elogio a un popolo temprato da molta sofferenza, che «non soccombe, ma che, di fronte alle prove, sa sempre rinascere con coraggio», dando prova di una «formidabile energia». Così il Papa si esprime dinanzi ai rappresentanti istituzionali invitandoli a non cedere al pessimismo e al senso di impotenza che possono insinuarsi nel cuore in un tempo attraversato dai grandi turbamenti generati con le guerre e le crisi politiche ed economiche. Far leva sulla capacità di resistere, questa è l’esortazione:«La vostra resilienza è caratteristica imprescindibile degli autentici operatori di pace: l’opera della pace, infatti, è un continuo ricominciare. L’impegno e l’amore per la pace non conosce paura di fronte alle sconfitte apparenti, non si lascia piegare dalle delusioni, ma sa guardare lontano, accogliendo e abbracciando con speranza tutte le realtà. Ci vuole tenacia per costruire la pace; ci vuole perseveranza per custodire e far crescere la vita».
Far risuonare la lingua della speranza
Restare uniti: è l’altra indicazione su cui sta insistendo il Papa nel corso del suo primo viaggio apostolico. La ripete ai libanesi oggi, persone che ce l’hanno nel dna, in realtà, ma rischia di indebolirsi a fronte della consistente diaspora a cui sono stati costretti, e lo sono tuttora, per fuggire da condizioni di vita precarie, da «un’economia che uccide». Da qui l’appello: «Vi incoraggio pertanto a non separarvi mai dalla vostra gente e a porvi al servizio del vostro popolo – così ricco nella sua varietà – con impegno e dedizione. Possiate tutti far risuonare una sola lingua: la lingua della speranza che fa convergere tutti nel coraggio di ricominciare sempre di nuovo. Il desiderio di vivere e di crescere insieme, come popolo, faccia di ogni gruppo la voce di una polifonia».
Servono istituzioni fondate sul bene comune
Serve impegnarsi per «una guarigione della memoria», afferma ancora il Papa, che fa riferimento alla necessità di «un avvicinamento tra chi ha subito torti e ingiustizie». Senza questa disposizione, spiega, «difficilmente si va verso la pace». E il risultato è che «si resta fermi, prigionieri ognuno del suo dolore e delle sue ragioni». Per ovviare a questo infecondo avvitamento su se stessi, Leone approfondisce il ruolo della leadership e precisa: «[…] Verità e riconciliazione crescono sempre insieme: sia in una famiglia, sia tra le diverse comunità e le varie anime di un Paese, sia tra le Nazioni. Allo stesso tempo, non c’è riconciliazione duratura senza un traguardo comune, senza un’apertura verso un futuro, nel quale il bene prevalga sul male subito o inflitto nel passato o nel presente. Una cultura della riconciliazione, perciò, non nasce solo dal basso, dalla disponibilità e dal coraggio di alcuni, ma ha bisogno di autorità e istituzioni che riconoscano il bene comune superiore a quello di parte».
La pace è molto più di un equilibrio
Vivere da persone riconciliate è una condizione ma anche metodo, suggerisce il Successore di Pietro: perché si tratta di impegnarsi a lavorare ogni giorno insieme per garantire alla collettività un futuro di benessere. È quel «fianco a fianco» di cui non spaventarsi ma da ricercare, insiste il Papa, e che diventa moltiplicatore di impegno e speranza, nella consapevolezza che Dio desidera per ciascuno una vita «piena»: «[…] il nostro orizzonte si allarga oltre ogni recinto e barriera. A volte si pensa che, prima di compiere qualsiasi passo, occorra chiarire tutto, risolvere tutto, invece è il confronto reciproco, anche nelle incomprensioni, la strada che porta verso la riconciliazione».
La mobilità umana è opportunità, ma non cancella i legami
Sperimentare vie di fuga da situazioni troppo cariche di violenza e incertezza è, secondo il Papa, comprensibile ma non del tutto utile alla costruzione della pace. «La Chiesa, infatti – ricorda -, non è soltanto preoccupata della dignità di coloro che si muovono verso Paesi diversi dal proprio, ma vuole che nessuno sia costretto a partire e che chiunque lo desideri possa in sicurezza ritornare». E qui cita le parole del predecessore Francesco nella Fratelli tutti, in cui egli rimarcava la inseparabilità tra la dimensione globale della fraternità universale e quella locale dell’amicizia sociale. L’anelito verso l’esterno, insomma, deve essere contemperato al desiderio di non sopprimere le proprie radici. Più precisamente, Leone dice: «Occorre certamente riconoscere che molto di positivo arriva a tutti voi dai Libanesi sparsi nel mondo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che restare presso i suoi e collaborare giorno per giorno allo sviluppo della civiltà dell’amore e della pace, rimane qualcosa di molto apprezzabile».
L’emorragia di giovani
Di fronte all’esodo di tante energie giovani e competenti, il Pontefice incoraggia a trovare modi, in uno spirito sinergico tra cristiani, musulmani, insieme a tutte le componenti religiose e civili della società libanese, per riaccendere le motivazioni a restare nel Paese. tutti «sono chiamati a fare la loro parte in questo senso – afferma – e ad impegnarsi a sensibilizzare in merito la comunità internazionale». […] la pace cresce sempre in un contesto vitale concreto, fatto di legami geografici, storici e spirituali. Occorre incoraggiare coloro che li favoriscono e se ne nutrono, e non cedono a localismi e nazionalismi».
Il ruolo delle donne per custodire e costruire la pace
E, come ha fatto già in Turchia, dinanzi alle autorità riunite ad Ankara, Leone torna a esaltare il contributo «paziente» delle donne nel tessere reti di amicizia sociale e di contribuire fattivamente e con creatività alla pace: «La loro partecipazione alla vita sociale e politica, così come a quella delle proprie comunità religiose, similmente all’energia che viene dai giovani, rappresenta in tutto il mondo un fattore di vero rinnovamento».
La pace è un dono di Dio
È la sensibilità musicale, infine, tipica di questo popolo, a suggerire al Papa un’ulteriore chiave per sottolineare che è tempo di fare spazio alla letizia, lasciando che sia lo Spirito ad agire per completare l’opera: la pace, infatti, è «un cammino mosso dallo Spirito, che mette il cuore in ascolto e lo rende più attento e rispettoso verso l’altro». Ne scaturiranno frutti di gioia e comunione: «[…] la pace non è soltanto il risultato di un impegno umano, per quanto necessario: la pace è un dono che viene da Dio e che, innanzitutto, abita il nostro cuore. È come un movimento interiore che si riversa verso l’esterno, abilitandoci a lasciarci guidare da una melodia più grande di noi stessi, quella dell’amore divino».
Umiltà, preghiera e sacrificio. Valori indispensabili per la costruzione della pace, ricordati da Leone anche nella visita di circa mezz’ora effettuata, al termine dell’incontro con le autorità libanesi, presso il Monastero delle Sorelle Carmelitane della Theotokos a Harissa. Valori che sono al cuore della loro vocazione. Dopo averle salutate tutte individualmente, il Papa ha ricevuto il saluto delle Superiore delle due comunità, concludendo con la preghiera del Padre Nostro recitata insieme e impartendo la benedizione su tutti i presenti.


