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Speciale

Discorso alla Città 2025

Sirio 15 - 21 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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Intervista

«All’educatore il compito di far emergere le ricchezze dei ragazzi»

Ottavio Pirovano, presidente e coordinatore della cooperativa sociale Aquila e Priscilla, riflette sui passaggi del Discorso alla città dedicati ai giovani: «Chiedono di essere accolti così come sono e soffrono perché non si sentono all’altezza delle richieste della società. Dobbiamo accompagnarli a “scrivere” insieme la loro storia»

di Luisa BOVE

16 Dicembre 2025
Gli educatori di Aquila e Priscilla in una giornata comunitaria

Nel Discorso alla città l’Arcivescovo dedica spazio alle nuove generazioni, ma, più che prendersela con i giovani, guarda alla responsabilità degli adulti e li considera «cattivi maestri». Sono loro a non riuscire a trasmettere ai ragazzi il desiderio di diventare adulti. Però ammette anche che tanti educatori professionali, preti e insegnanti sono invece «testimoni di speranza». Una realtà come la cooperativa sociale Aquila e Priscilla lo conferma. «Noi incontriamo tutti i giorni centinaia di ragazzi e abbiamo quindi uno guardo privilegiato su di loro», dice Ottavio Pirovano, presidente e coordinatore della cooperativa, che oggi conta 48 educatori professionali impegnati a lavorare negli oratori ambrosiani.

E cosa notate nei giovani di oggi?
Riconosciamo le loro fragilità, ma anche i loro sogni e desideri. Questo diventa sempre il punto di partenza dell’educazione, che non significa riempire un vuoto, ma scoprire insieme le ricchezze dei ragazzi. Sono tante, ma nella società individualista faticano a emergere, perché non c’è un contesto comunitario che li aspetta, la sfida all’eccellenza li distrugge. Poter stare al loro fianco tutti i giorni vuol dire ascoltarli, offrire uno spazio di condivisione delle attività che si fanno in oratorio. Sembra incredibile, ma ora la presenza di adolescenti è in aumento.  

Qual è il ruolo degli educatori di professionali?
È un lavoro che comprende l’accompagnamento delle figure educative che ci sono negli oratori, quindi catechiste ed educatori per le varie fasi di età. A volte i professionisti sono le uniche figure che i ragazzi trovano tutti i giorni in oratorio, e che possono dedicare tanto tempo all’ascolto e a camminare con loro. Credo che la presenza dei professionisti oggi sia davvero decisiva, perché il volontariato fatica a garantire la continuità e un accompagnamento competente.

Ottavio Pirovano

E cosa vi chiedono?
Di essere accolti così come sono, che i cammini degli oratori non siano idealistici o modellati su un profilo umano talmente alto da essere percepito come inarrivabile. Invece devono scoprire che nei percorsi personali e di lettura biblica noi desideriamo accompagnare ragazzi normali, e i giudizi che si danno o che ricevono dalla società non sono veri. Una delle grandi sofferenze dei ragazzi è che non si sentono all’altezza di quello che la società chiede o presume di chiedere. A volte ci si domanda se sono i giovani in difficoltà o se lo sono gli adulti.

Quali sono i tratti del buon educatore?
Anzitutto la capacità di ascoltare, di riuscire davvero a fare una proposta personalizzata e non generica. Poi scommettere ancora su una comunità a disposizione dei ragazzi, perché l’educatore solitario oggi non ha chance, avrebbe una prospettiva troppo legata a se stesso e senza una promessa ampia e credibile. Inoltre va riproposta l’idea del cardinale Martini, che parlava di itinerari differenziati perché, seppure in controtendenza rispetto al mondo, oggi occorre rinnovare l’attenzione al maschile e al femminile, per esempio utilizzando linguaggi diversi. Ognuno infatti ha una porta di ingresso diversa rispetto al mistero, alla vita, e oggi non c’è uniformità dal punto di vista culturale. Sarebbe importante che un educatore, ma soprattutto una comunità, sapesse creare cultura attraverso attività semplici, come mettersi a scrivere un fumetto con i ragazzi, oppure far raccontare in modo fantasioso le esperienze vissute insieme. Oggi tra i giovani vanno molto i podcast e i video prodotti da loro: se in questo venissero affiancati da esperti riuscirebbero a creare cultura, altrimenti a confronto con ciò che la società produce ci squalificherebbero subito.

Come possono le nuove generazioni «scrivere una storia nuova», come dice l’Arcivescovo?
Ascoltandosi reciprocamente, anche a livello intergenerazionale, come un’autorizzazione che il mondo degli adulti dà ai giovani. Penso alla canzone di Roberto Vecchioni Sogna, ragazzo, sogna, che lascia al ragazzo di scrivere l’ultima pagina di testo. Mi pare che oggi i ragazzi abbaiano bisogno di essere spinti da un adulto (che non copre tutti gli spazi) a fare questo passaggio. In quella canzone è chiaro che l’ultima pagina non può scriverla l’autore, che si aspetta che sia il ragazzo a farlo. Alfa, da giovane cantautore, è riuscito e per me è stato molto emozionante. Mi piacerebbe che questa fosse l’immagine non di un ragazzo lasciato solo a scrivere, ma che viene accompagnato e poi diventa protagonista. Senza paura. Ogni generazione trova dentro di sé gli anticorpi per superare alcune difficoltà della società, come è stato per noi negli anni Settanta/Ottanta. Un educatore dovrebbe forse imparare a tirar fuori dai ragazzi le risorse che hanno dentro di loro.