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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Giovani e società

La fede del fai da te

I dati di una ricerca dello Iard

di Andrea CASAVECCHIA Redazione

27 Aprile 2010

Un numero molto alto di giovani è attento alla dimensione del sacro nella sua vita, però la loro esperienza diventa sempre più intimistica e meno capace di cogliere l’importanza della comunità. Questo appare l’elemento più significativo e, allo stesso tempo, inquietante tra i risultati di una ricerca dell’Istituto Iard svolta su un campione rappresentativo di mille individui, tra i 18 e i 29 anni, e recentemente presentata a Novara nell’ambito del progetto Passio 2010.
Si può vedere che in Italia non c’è un processo di laicizzazione: infatti, solo il 21,8% si dichiara non credente o agnostico, contro il 15,4% che si dichiara cattolico praticante. Tra le due polarità troviamo, invece, un gruppo ampio e diversificato di giovani che scelgono di «non identificarsi in una Chiesa» (il 22,8%), oppure non sono praticanti (il 23,1%) e ancora si sentono «cattolici intimisti» (il 17,4%). Quindi la maggioranza crede, ma “a modo suo”.
Dal panorama, disegnato dalla ricerca I giovani di fronte al futuro e alla vita, con e senza fede, si possono trarre alcuni spunti di riflessione.
A partire dai gruppi che si sono formati a seconda delle risposte, emerge la tendenza, per un’ampia fetta degli intervistati, alla costruzione di una “religione privata”, tesa al rapporto con il divino, ma senza la capacità di legame orizzontale. C’è il rischio di vedere tra le giovani generazioni la forte affermazione di una visione di fede caratterizzata dal “fai da te”. La propria esperienza si autocostruirebbe a prescindere dalle proposte che vengono avanzate dalla comunità ecclesiale ma anche a prescindere dalla tradizione. Lo conferma un’altra serie di domande nelle quali risulta che nei giovani intervistati, mentre è rimasto uguale per il 50,1% o è aumentato per il 17,3% l’interesse verso la dimensione spirituale, diminuiscono, per il 52,7% del campione, sia la fiducia verso la Chiesa cattolica, sia la partecipazione ai riti religiosi, per un altro 50,6%. Non è soltanto un problema di “fidelizzazione” alla Chiesa cattolica. Si riscontra in questa scarsa capacità di condividere la fede la debolezza di cammini personali che, dipendendo solo dalle “proprie certezze”, vivranno di una fragilità eccezionale.
Per gettare le basi verso una nuova pastorale più vicina ai giovani c’è un altro aspetto significativo che potrebbe essere valorizzato. L’indagine sottolinea infatti come tra il 2004 e il 2010 sono cresciuti i giovani che hanno partecipato a pellegrinaggi in luoghi sacri e a processioni religiose. Molto probabilmente le due esperienze che sembra abbiano un appeal verso le nuove generazioni riescono a coniugare, da una parte, l’esigenza di coinvolgimento personale in un percorso, che è anche fisico e non solamente “teorico”, dall’altra parte, possono permettere l’avvicinamento a una comunità reale, costituita da fedeli che camminano assieme.
Forse dalla pratica di queste due tradizionali devozioni si può trarre il bisogno di concretezza dei giovani al quale una pastorale ordinaria dovrebbe sempre rispondere. Un numero molto alto di giovani è attento alla dimensione del sacro nella sua vita, però la loro esperienza diventa sempre più intimistica e meno capace di cogliere l’importanza della comunità. Questo appare l’elemento più significativo e, allo stesso tempo, inquietante tra i risultati di una ricerca dell’Istituto Iard svolta su un campione rappresentativo di mille individui, tra i 18 e i 29 anni, e recentemente presentata a Novara nell’ambito del progetto Passio 2010.Si può vedere che in Italia non c’è un processo di laicizzazione: infatti, solo il 21,8% si dichiara non credente o agnostico, contro il 15,4% che si dichiara cattolico praticante. Tra le due polarità troviamo, invece, un gruppo ampio e diversificato di giovani che scelgono di «non identificarsi in una Chiesa» (il 22,8%), oppure non sono praticanti (il 23,1%) e ancora si sentono «cattolici intimisti» (il 17,4%). Quindi la maggioranza crede, ma “a modo suo”.Dal panorama, disegnato dalla ricerca I giovani di fronte al futuro e alla vita, con e senza fede, si possono trarre alcuni spunti di riflessione.A partire dai gruppi che si sono formati a seconda delle risposte, emerge la tendenza, per un’ampia fetta degli intervistati, alla costruzione di una “religione privata”, tesa al rapporto con il divino, ma senza la capacità di legame orizzontale. C’è il rischio di vedere tra le giovani generazioni la forte affermazione di una visione di fede caratterizzata dal “fai da te”. La propria esperienza si autocostruirebbe a prescindere dalle proposte che vengono avanzate dalla comunità ecclesiale ma anche a prescindere dalla tradizione. Lo conferma un’altra serie di domande nelle quali risulta che nei giovani intervistati, mentre è rimasto uguale per il 50,1% o è aumentato per il 17,3% l’interesse verso la dimensione spirituale, diminuiscono, per il 52,7% del campione, sia la fiducia verso la Chiesa cattolica, sia la partecipazione ai riti religiosi, per un altro 50,6%. Non è soltanto un problema di “fidelizzazione” alla Chiesa cattolica. Si riscontra in questa scarsa capacità di condividere la fede la debolezza di cammini personali che, dipendendo solo dalle “proprie certezze”, vivranno di una fragilità eccezionale.Per gettare le basi verso una nuova pastorale più vicina ai giovani c’è un altro aspetto significativo che potrebbe essere valorizzato. L’indagine sottolinea infatti come tra il 2004 e il 2010 sono cresciuti i giovani che hanno partecipato a pellegrinaggi in luoghi sacri e a processioni religiose. Molto probabilmente le due esperienze che sembra abbiano un appeal verso le nuove generazioni riescono a coniugare, da una parte, l’esigenza di coinvolgimento personale in un percorso, che è anche fisico e non solamente “teorico”, dall’altra parte, possono permettere l’avvicinamento a una comunità reale, costituita da fedeli che camminano assieme.Forse dalla pratica di queste due tradizionali devozioni si può trarre il bisogno di concretezza dei giovani al quale una pastorale ordinaria dovrebbe sempre rispondere.