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Mondialità

Camerun: accanto ai giovani insieme al cardinale Martini

di don Alberto DELL'ACQUA fidei donum a Djamboutou - Camerun Redazione

4 Marzo 2010

Il gran caldo che è “scoppiato” da una settimana (un po’ in anticipo rispetto al solito e raggiungendo già i 40° all’ombra) non mi ha impedito giovedì 25 gennaio di “festeggiare” l’anniversario dei miei 4 anni di presenza a Djamboutou in Camerun – con le sue gioie e le sue fatiche -, così come l’inizio del quinto che dovrebbe essere per me un anno di significativi cambiamenti e nuovi impegni pastorali, oltre che di inizio di “incombenze costruttive”: non solo nel senso di una nuova comunità parrocchiale da far crescere, ma anche di edifici – inesistenti – in cui la stessa comunità possa radunarsi e i preti e laici fidei donum abitare.
Insieme a don Daniele, attuale parroco di Djamboutou-Garoua, sto accompagnando la parrocchia St. Charles Lwanga (da 27 anni guidata dai vari preti fidei donum della Diocesi di Milano) a essere consegnata nelle mani del clero locale camerunese. In previsione di questa consegna, il vescovo di Garoua, monsignor Antoine Ntalou, ci ha chiesto la disponibilità di guidare la nascita di una nuova comunità parrocchiale sorta a Ngalbidjie, un quartiere periferico della città. Dedicata a St. Jean-Marie Vianney, il santo curato d’Ars e patrono di tutti i preti, è stata creata il 25 gennaio di quest’anno. Non ha né chiesa (i tanti fedeli – per ora e per un bel po’ di tempo ancora – per celebrare la Messa domenicale, si ritrovano in un cortile, sotto ripari di paglia), né presbiterio, né altre strutture. Attendiamo i successivi passi del vescovo e nel frattempo io mi preparo al futuro, restando per ora comunque concentrato sul mio lavoro di sempre, con i ragazzi, i giovani e le 20 comunità cristiane dei villaggi di Djamboutou.
Il cammino quaresimale mi vede alle prese con l’accompagnamento dei catecumeni che riceveranno il Battesimo a Pasqua: un cammino sempre impegnativo quanto arricchente. Insieme ai giovani di qui voglio condividere una grande gioia e un grande dono ricevuti: in uno degli ormai tradizionali «pomeriggi per i giovani» abbiamo lavorato sul libro del cardinale Carlo Maria Martini Conversazioni notturne a Gerusalemme, un libro che è strutturato a partire da domande di giovani europei cui il Cardinale cerca di rispondere in modo aperto e profondo.
Partendo da alcune di queste domande, ce ne sono venute in mente altre 14 da porgli in quanto “giovani africani”. Naturalmente non ci siamo lasciati scappare l’occasione di scrivergli e grande è stata la gioia di vederci recapitare le sue risposte a partire dalle quali continueremo il nostro lavoro. Eccone un paio: cosa possiamo fare come giovani per altri giovani che non credono in Gesù? E per quelli che ci criticano quando parliamo della nostra fede (chiese protestanti, sette, battezzati che hanno abbandonato il cammino, ndr)? «Occorre vivere personalmente il Vangelo – risponde Martini -. Esso è inoppugnabile quando è vissuto nella sua intera verità (con il perdono delle offese, l’amore anche dei nemici, ecc)». Perché tanti giovani africani si lasciano tentare dalle sette? «Mi pare che le sette corrispondano in positivo a un desiderio di maggiore soggettività nella comunità e in negativo a una religione facile e affidata all’entusiasmo». Perché qui in Africa gli uomini e le donne hanno una speranza di vita più breve di quanto fosse nel passato e rispetto agli uomini e le donne di altre parti del mondo? «Non saprei dire se la speranza di vita sia più breve. Per quanto ne so la vita media si è allungata anche in Africa. Però è inferiore a quella europea a causa della fame, delle malattie, ecc. Bisogna che i Paesi dove c’è benessere si diano da fare per l’Africa, ma che anche gli africani stimino il bene comune superiore al bene del gruppo. Altrimenti la politica sarà sempre fonte di corruzione e di lotte». Il gran caldo che è “scoppiato” da una settimana (un po’ in anticipo rispetto al solito e raggiungendo già i 40° all’ombra) non mi ha impedito giovedì 25 gennaio di “festeggiare” l’anniversario dei miei 4 anni di presenza a Djamboutou in Camerun – con le sue gioie e le sue fatiche -, così come l’inizio del quinto che dovrebbe essere per me un anno di significativi cambiamenti e nuovi impegni pastorali, oltre che di inizio di “incombenze costruttive”: non solo nel senso di una nuova comunità parrocchiale da far crescere, ma anche di edifici – inesistenti – in cui la stessa comunità possa radunarsi e i preti e laici fidei donum abitare.Insieme a don Daniele, attuale parroco di Djamboutou-Garoua, sto accompagnando la parrocchia St. Charles Lwanga (da 27 anni guidata dai vari preti fidei donum della Diocesi di Milano) a essere consegnata nelle mani del clero locale camerunese. In previsione di questa consegna, il vescovo di Garoua, monsignor Antoine Ntalou, ci ha chiesto la disponibilità di guidare la nascita di una nuova comunità parrocchiale sorta a Ngalbidjie, un quartiere periferico della città. Dedicata a St. Jean-Marie Vianney, il santo curato d’Ars e patrono di tutti i preti, è stata creata il 25 gennaio di quest’anno. Non ha né chiesa (i tanti fedeli – per ora e per un bel po’ di tempo ancora – per celebrare la Messa domenicale, si ritrovano in un cortile, sotto ripari di paglia), né presbiterio, né altre strutture. Attendiamo i successivi passi del vescovo e nel frattempo io mi preparo al futuro, restando per ora comunque concentrato sul mio lavoro di sempre, con i ragazzi, i giovani e le 20 comunità cristiane dei villaggi di Djamboutou.Il cammino quaresimale mi vede alle prese con l’accompagnamento dei catecumeni che riceveranno il Battesimo a Pasqua: un cammino sempre impegnativo quanto arricchente. Insieme ai giovani di qui voglio condividere una grande gioia e un grande dono ricevuti: in uno degli ormai tradizionali «pomeriggi per i giovani» abbiamo lavorato sul libro del cardinale Carlo Maria Martini Conversazioni notturne a Gerusalemme, un libro che è strutturato a partire da domande di giovani europei cui il Cardinale cerca di rispondere in modo aperto e profondo.Partendo da alcune di queste domande, ce ne sono venute in mente altre 14 da porgli in quanto “giovani africani”. Naturalmente non ci siamo lasciati scappare l’occasione di scrivergli e grande è stata la gioia di vederci recapitare le sue risposte a partire dalle quali continueremo il nostro lavoro. Eccone un paio: cosa possiamo fare come giovani per altri giovani che non credono in Gesù? E per quelli che ci criticano quando parliamo della nostra fede (chiese protestanti, sette, battezzati che hanno abbandonato il cammino, ndr)? «Occorre vivere personalmente il Vangelo – risponde Martini -. Esso è inoppugnabile quando è vissuto nella sua intera verità (con il perdono delle offese, l’amore anche dei nemici, ecc)». Perché tanti giovani africani si lasciano tentare dalle sette? «Mi pare che le sette corrispondano in positivo a un desiderio di maggiore soggettività nella comunità e in negativo a una religione facile e affidata all’entusiasmo». Perché qui in Africa gli uomini e le donne hanno una speranza di vita più breve di quanto fosse nel passato e rispetto agli uomini e le donne di altre parti del mondo? «Non saprei dire se la speranza di vita sia più breve. Per quanto ne so la vita media si è allungata anche in Africa. Però è inferiore a quella europea a causa della fame, delle malattie, ecc. Bisogna che i Paesi dove c’è benessere si diano da fare per l’Africa, ma che anche gli africani stimino il bene comune superiore al bene del gruppo. Altrimenti la politica sarà sempre fonte di corruzione e di lotte».