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Milano

Lavoro, parole nuove per una rivoluzione culturale

Preghiera e riflessione intrecciate nella Veglia in vista del 1° maggio. Analisi di studiosi e testimonianze del laicato ambrosiano sul ruolo della Chiesa e la necessità di fare “rete” hanno preceduto l’intervento dell’Arcivescovo su tre linee-guida: libertà, giustizia e fraternità

di Annamaria BRACCINI

29 Aprile 2025
La riflessione dell'Arcivescovo (Agenzia Fotogramma)

Dallo spaesamento delle tante situazioni di difficoltà nel mondo del lavoro alla preoccupazione, dalla libertà di non fare del denaro un idolo alla priorità di ricercare la giustizia e la fraternità. Nella Veglia del Lavoro promossa dalla Diocesi nell’anno del Giubileo, con il titolo «Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza», la riflessione dell’Arcivescovo si annoda intorno ad alcune parole che definiscono il senso dell’agire di chi crede in Dio e ne coltiva il primato, anche nel lavoro, promuovendo il bene comune.

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La serata

Nella sede regionale delle Acli a Milano, per la serata organizzata nella Giornata internazionale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro in collaborazione con le Acli, l’Azione Cattolica ambrosiana e la Compagnia delle Opere, arrivano in tanti: lavoratori, sindacalisti – tra cui i massimi rappresentanti locali di Cisl e Cgil -, operatori dell’associazionismo, economisti e sociologi. Insomma, una Veglia molto partecipata, che vede la presenza anche del Vicario generale monsignor Franco Agnesi e del Vicario episcopale di Settore monsignor Luca Bressan.

L’introduzione di don Nazario Costante (Agenzia Fotogramma)

Al concetto di Veglia si lega subito il saluto introduttivo di don Nazario Costante, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale Sociale e il Lavoro: «Vegliare significa custodire ciò che è veramente prezioso: la dignità umana, di cui essere sentinelle è nostro compito. Dobbiamo vegliare con occhi attenti e cuore aperto. La speranza non è un’illusione, ma un impegno quotidiano per costruire un futuro dove la persona sia sempre al centro, perché il lavoro umano è una chiave fondamentale della questione sociale».

A Paolo Mora – alla guida della Direzione generale Istruzione, Formazione e Lavoro che, in rappresentanza dell’assessore della Regione Lombardia Simona Tironi, illustra l’impegno promosso dalla Regione «sulle politiche attive del lavoro, la questione giovanile, la frontiera della disabilità e per le persone detenute e migranti» – risponde l’approfondita analisi della sociologa dell’Università Cattolica Rosangela Lodigiani.

L’analisi

Tre le riflessioni che la sociologa propone, a partire dai «paradossi del lavoro che vedono oggi nuove e crescenti occasioni di impiego, ma con un lavoro spesso povero; una diminuzione della disoccupazione, ma anche con chi non cerca nemmeno più di lavorare; crescenti fenomeni di sfruttamento dei più deboli con un ricambio generazionale che rischia di incepparsi». La questione è quella di intendere «il lavoro come legame e responsabilità dentro la storia».

Rosangela Lodigiani (Agenzia Fotogramma)

Un lavoro decente e dignitoso, come auspica la Dottrina sociale della Chiesa e l’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, che Lodigiani cita: «Il lavoro è un’azione generativa, una relazione sociale essa stessa generatrice di legami di cui dobbiamo prenderci cura», spiega, richiamando «i semi da cogliere, attraverso un’alleanza educativa, ripartendo da un patto tra le generazioni, costruendo valori condivisi e riscoprendo il lavoro come vocazione».

Terzo ambito, le «pratiche buone», in riferimento «non solo alla transizione, ma a un tema, magari, oggi meno di moda in un tempo: la socializzazione. Occorre una coalizione locale qui e ora, a Milano e in Lombardia, ciascuno con le proprie responsabilità, per la cura del lavoro, perché questo significa mantenere la tenuta sociale e il bisogno di partecipazione. Questo è il tempo per le ricuciture e qui il ruolo fondamentale dell’associazionismo e del fare rete è fondamentale».

Le voci dell’associazionismo

Martino Troncatti (Agenzia Fotogramma)

Da molte cifre, che disegnano un orizzonte dell’occupazione lombarda e nazionale tra luci e ombre, si avvia il primo degli interventi dei rappresentanti delle associazioni, quello di Martino Troncatti, presidente di Acli Lombardia: «Nel corso del 2024, il numero complessivo di lavoratori, comprendente dipendenti e autonomi, è aumentato dell’1,5%, toccando quota 24 mln, di cui oltre 10 mln di donne, sebbene il tasso di partecipazione femminile continui a collocarsi significativamente al di sotto della media europea. Nel periodo gennaio-settembre 2024, su 10,142 mln di attivazioni di rapporti di lavoro, però solo il 16% assume forma di contratto a tempo indeterminato, mentre l’84% ricade in forme temporanee o atipiche. Per questo dobbiamo immaginare una visione condivisa di società, costruendo progetti di riqualificazione professionale in un nuovo circuito economico solidale e in una logica di trasformatività. È necessaria una riforma non violenta, in cui il rapporto tra persone e con la natura cambi completamente».

Andrea Della Bianca (Agenzia Fotogramma)

Per Andrea Dellabianca, presedente della Compagnia delle Opere, si tratta di «un’alleanza tra vita e lavoro, tra diversi soggetti che affrontano questo tema a differente livello, perché la questione riguarda tutti. Se la quotidianità del lavoro non ha più senso, bisogna ripensare le domande “per cosa” e “per chi” lavorare. Questo fa sì che le aziende stesse si siamo dovute ripensare, ma senza un ambito educativo e di confronto il ripensamento non si realizza. Per rimettersi in discussione occorre un punto di consistenza anche fuori dai luoghi del lavoro, un luogo che regge la vita come la fede».

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Portare il Signore nei luoghi di ogni giorno

Infine, Gianni Borsa, presidente di Azione Cattolica Ambrosiana: «Oggi le persone che lavorano sono più sole. È in atto, forse, una destrutturazione delle classi lavoratici. La tutela appare in difficoltà, il sindacato è in affanno, tante volte contrastato dalla politica. Il lavoro si confronta con l’invecchiamento della popolazione e tutti gli squilibri che si conoscono; vi è un’incapacità di cogliere i fenomeni migratori e, non ultimo, occorre colmare le forti diseguaglianze di opportunità e di genere», nota Borsa.

Gianni Borsa (Agenzia Fotogramma)

Da qui tre ambiti nei quali la comunità cristiana ha portato e può portare il suo contributo: «Primo, la vocazione al lavoro, l’intuizione di quale sia la propria strada, che può contribuire a dare pieno significato all’esistenza. Secondo, la valorizzazione del patrimonio immateriale del lavoro, specie in questa fase di grandi cambiamenti, con il ruolo dell’incontro tra persone e generazioni, la progettazione della vita personale e sociale, la realizzazione di sé. Chiediamoci chi siamo e con chi siamo nel posto di lavoro, per chi siamo. Vogliamo intendere il lavoro come una speranza che non è mai qualcosa di individuale, ma la costruzione di un insieme dove la comunità cristiana può essere voce profetica anche nel dire no all’idolatria del denaro, all’economia dello scarto, alla corruzione che altera le regole, alla mafia che pervade la nostra economia, alle tangenti, all’evasione fiscale. Il laico cristiano porta il Signore nel posto in cui vive tutti i giorni e il lavoro è uno di questi».  

Il momento di preghiera (Agenzia Fotogramma)

Poi, dopo l’inizio della vera e propria Veglia di preghiera con l’invocazione dello Spirito santo, ancora alcune testimonianze di lavoratori delle aziende dove l’Arcivescovo si recherà il 30 aprile e nei giorni successivi, ossia Pellegrini ristorazione, EureInox e Vesti solidale, cooperativa del Consorzio Farsi prossimo di Caritas ambrosiana. 

L’intervento dell’Arcivescovo

«Sento spesso ripetere frasi come “Non riesco ad avere il personale di cui ho bisogno”, “Non trovo il lavoro che fa per me, ho i miei interessi e mei sogni”, “Il lavoro che ho trovato, che mi piace, non mi consente una vita dignitosa a Milano” – scandisce, in apertura, monsignor Delpini -. Noi vorremmo chiedere al Signore qualche pista da seguire, perché le parole non suonino retoriche e per non chiuderci in un nostro angolino al sicuro. Sentirsi frammenti, fuscelli, dentro un universo complicato in cui i fenomeni sono molto oltre la nostra possibilità di controllarli, significa questo: lo spaesamento». Ed è inevitabile che dallo spaesamento si passi alla preoccupazione: «I problemi fanno pensare e sono come frecce per quanti sono impegnati in un campo di battaglia, sul quale ci siamo tutti, ma dove la freccia colpisce una persona per volta».

La riflessione dell’Arcivescovo (Agenzia Fotogramma)

Dalla pagina del Vangelo di Matteo al capitolo 6, con quel «Non preoccupatevi» detto da Gesù – «evidentemente, il suggerimento non di un affidamento fatalistico a quello che succede, ma il comandamento della fiducia che alimenta la speranza» – arrivano alcune indicazioni di cammino: «L’invito del Vangelo è per una fiducia radicale nella provvidenza, ma indica anche la responsabilità di costruire un’economia dove ciascuno possa vivere con dignità. La parola più adatta per dire tale responsabilità è l’ecologia integrale dove tutto è connesso – la società e l’ambiente, l’uomo e la natura – e dove trascurare una parte significa predisporre le condizioni per rovinare tutto».

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Le «parole nuove»

Per questo, suggerisce l’Arcivescovo, occorrono parole nuove come «libertà»: «Non permettete alla ricerca della sicurezza di diventare un idolo, non si può servire Dio e la ricchezza. La consapevolezza è che vogliamo essere figli di Dio e non schiavi degli idoli. Ci vuole la sapiente considerazione della realtà: dobbiamo imparare a guardare, bisogna leggere la storia, la situazione, le dinamiche in cui siamo coinvolti e pensare, cercare una sapienza più che una strategia, una cultura e non uno slogan. L’umanesimo europeo è stato un fenomeno, prima che culturale, che ha aiutato l’uomo a rendersi conto del suo valore. Abbiamo bisogno di sapienza».

Un sapere del cuore fatto di alcune priorità come cercare, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia: «Il superamento dell’individualismo autoreferenziale conduce a concepirsi come figli del Regno con la persuasione che il bene comune è più necessario del bene privato. Una priorità che è unita alla giustizia come fraternità, per promuovere il coinvolgimento di tutti, anche se questa è una parola difficile in un mondo con disparità così ingiuste. Cerchiamo di farlo con la preghiera, con l’impegno perché le istituzioni siano a servizio dell’uomo e non il contrario. Siamo chiamati a essere protagonisti di una rivoluzione culturale, di parole nuove perché le antiche non servono più».

 

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