«Pregate, pensate, condividete». Sono queste le tre “parole d’ordine” che l’Arcivescovo lascia agli 89 catecumeni ambrosiani che, dopo un cammino di preparazione biennale, riceveranno il battesimo nella Veglia pasquale. 41 italiani, 14 europei, di cui 12 albanesi, 7 africani e 3 asiatici, 54 le donne, 35 gli uomini con un età compresa tra i 16 e i 59 anni. Tutti riuniti, come tradizione, con accompagnatori, sacerdoti, padrini e madrine, per il loro ritiro e l’incontro con l’Arcivescovo presso il Centro pastorale di via Sant’Antonio.
«Il Catecumenato aiuta noi che siamo battezzati da sempre a porci delle domande e a tenere viva la fede. É una freschezza che può risvegliare tutta la comunità», nota, in apertura dell’incontro con il vescovo Delpini, il vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como, a cui è accanto il responsabile del Servizio diocesano per la Catechesi e della Sezione Catecumenato, don Matteo Dal Santo.
Poi, subito, le domande di due catecumene che come gli altri candidati ai sacramenti nel corso del pomeriggio si erano riuniti in gruppi di lavoro e riflessione proprio per interrogarsi principalmente sul loro futuro di cristiani.
Emma e Alba: due testimonianze della fede giovane
Inizia Emma, 23 anni da Cuneo, laureanda in Economia presso l’Università Cattolica. «Ho avuto una profonda curiosità per la fede e sono affascinata dalla celebrazioni: questo mi ha spinto a interrogarmi», spiega, così come decisiva è stata «l’idea della comunità, qualcosa di profondamente bello e significativo».

«Ho vissuto un episodio doloroso – continua – e, nel momento di smarrimento, andare in chiesa mi ha permesso di riflettere». Determinanti anche gli incontri con i sacerdoti impegnati in “Cattolica” e la meditazione del Vangelo di Marco, che è stato letto integralmente nel percorso preparatorio all’iniziazione cristiana. «Mi sono accorta della verità della Parola che avevo ascoltato e di quanto fosse importante essere attenti agli altri. Il mio è stato un cammino di fede intrapreso conconsapevolezza e sincerità».
La domanda è su come mantenere vivo l’entusiasmo, specie lasciando, con la laurea, la comunità cristiana universitaria di riferimento.
Le fa eco Alba, 18 anni che frequenta la V liceo artistico e che ha maturato la sua scelta frequentando l’oratorio dai 16 anni. «Entrando in comunione con Dio, il battesimo è un segno di impegno spirituale per legarmi sempre di più alla Chiesa. Mi sono avvicinata alla Parola di Dio, con il Vangelo di Marco che mi ha profondamente toccata. La Chiesa e i suoi insegnamenti mi hanno cambiata», dice, non nascondendosi però «la paura che, con il tempo diventi tutto un po’ monotono o abitudine».
Coltivare l’amicizia con il Signore
«Mi sono chiesto come si può rendere meno scolastico un incontro come questo perché aiuti veramente il cammino, sentendosi dentro una Chiesa e una comunità. Credo che sia giusto darvi dei compiti», osserva, da parte sua, l’Arcivescovo. «Cercate la risposta ai vostri interrogativi nella Parola di Dio. Chi fa una domanda riceverà da me il compito di studiare a memoria un brano del Vangelo».
Da qui la consegna a Emma di imparare il Salmo 84 con la frase-chiave, “Cresce lungo il cammino il mio vigore” che indica «come l’evento del battesimo segna la vita».
«È bene che tutti voi abbiate qualche testo che vi è utile perché lo avete incontrato e vi ha illuminato. Quello che mi pare un limite è che, oggi, la Parola che viene da Dio non trasforma il modo di pensare», aggiunge subito il vescovo Delpini.

Chiaro il riferimento al “dopo”. «In realtà è Dio che ci conduce ed è opera dello Spirito se siete arrivati fin qui. Certamente ci vogliono i propositi e le scelte, ma la vita cristiana è una grazia, una comunione, un’amicizia che trasforma la vita. Gesù è una persona viva che parla nelle Scritture, nel silenzio della preghiera personale. É una grazia da ricevere, un modo con cui il Signore ci rende lieti, non un dovere da espletare. I sacramenti sono la grazia che il Signore offre per entrare nella sua vita. Noi rischiamo sempre di essere un po’ presuntuosi, e occorre comprendere che la comunità non è una sorta di associazione, ma la Chiesa, il corpo di Cristo. Anche se ci sono tanti battezzati che vogliono lasciare la comunità, per i suoi aspetti deludenti, essa non è il fine del cammino: è il popolo che siamo tutti noi che camminiamo verso la terra promessa».
Ma come affrontare il futuro, specie se si è giovani, come per la maggioranza dei catecumeni? Attraverso tre parole. «Pregare – per coltivare il rapporto personale con Gesù, un amico che mi parla e che risponde alle mie domande -; pensare – l’ascolto della Parola di Dio non è come trovare un manuale, ma una sfida a confrontarsi su ogni questione perché Gesù ha qualcosa da dire sulle scelte che operiamo, quando ci misuriamo con il lavoro, i dolori della vita, il futuro, le amicizie; e, infine, condividere».
Essere cristiani nella gioia
Anche per Alba arriva così la risposta e il compito di leggere il Vangelo di Giovanni 15. «Ci spiega come vivere la fede ogni giorno. La vita cristiana è un fuoco che arde, è passione: se uno si annoia significa che non la sta vivendo davvero. Se noi non abbiamo la gioia piena vuole dire che non abbiamo ascoltato Gesù. Il cristianesimo non può essere noioso e vi ringrazio perché voi avete contagiato di freschezza la comunità».
Anche qui torna la domanda su come “abitare” la fede e la vita nella gioia. «Con i tre termini già detti – chiarisce monsignor Delpini – cui si aggiunge l’utilità di assumere un impegno, anche piccolo, nella comunità che è un aiuto ad avere entusiasmo e a non ridurre tutto alla routine».
Insomma, un segno di appartenenza che indichi un senso di responsabilità. Anche perché, «entrare nella comunità cristiana significa essere pietre vive e non fruitori di un servizio. Dovete vivere l’appartenenza affettuosa che vuole dire coltivare amicizia in un rapporto di reciproco affetto che rende migliori, condividendo realmente anche le difficoltà ed essendo mossi da un desiderio profondo di camminare verso il Signore».
Amare perché amati
Infine, Rita, guida di un gruppo di una quindicina di persone, nel ritiro pomeridiano, e una delle responsabili dell’Équipe del Catecumenato per la Zona pastorale II-Varese.
«Dentro il loro “ci sto”, detto da tutti con convinzione, vi è stata la richiesta di prendersi del tempo di qualità per comprendere meglio e di più il loro “sì”. Si sono sentiti chiamati e desiderano vivere il Vangelo con libertà e con la consapevolezza di non essere perfetti», racconta Rita a cui l’Arcivescovo assegna il compito di imparare a memoria un brano di Giovanni 1. «Un supporto e un’ispirazione perché narra dell’incontro con Gesù dei primi discepoli, ai quali si aprono spazi di vita, appunto, di qualità».

«Mi chiedete come riesco a superare le difficoltà quotidiane: alimento la mia fede leggendo ogni giorno brani della Scrittura che è sorprendente perché sono sempre fonte di provocazione e consolazione».
Un ultimo accenno è all’atteggiamento del «perdonarsi per perdonare, amarsi per amare».
«Qualcosa di ambiguo, se lo si interpreta come una sorta di autotraining, come una tecnica psicologica, mentre, in una visione cristiana, è una dinamica spirituale: riconoscere come siamo, avere il cuore trafitto per nostri peccati, e andare più a fondo possibile e lì trovare il Signore. Noi possiamo amarci perché Gesù ci rivolge uno sguardo di amore. Possiamo essere amabili perchéGesù ci ama. E possiamo far fruttare questa amabilità, iniziando ad amare gli altri secondo il comandamento di Cristo, che significa trovare le ragioni per cui gli altri sono amabili», conclude il vescovo Mario, prima della benedizione e di un annuncio. Quello del Giubileo diocesano dei Neofiti, che riunirà anche battezzati adulti degli anni scorsi e che si svolgerà nella basilica di Sant’Ambrogio, il 16 novembre ore 15.30.
A fine incontro, tutti in Duomo dove l’Arcivescovo consegna ai catecumeni e ai circa 2000 ragazzi presenti provenienti da tutta la Diocesi, il Credo, simbolo della fede.









