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Testi citati nel video a cura di don Paolo Alliata


«Mio padre aveva moltissimi libri … un giorno, quando avevo otto anni, la curiosità mi spinse a prendere da uno scaffale un libriccino nero, sulla cui costola era scritto: “L’etica di Kant” … come iniziai a leggerlo, incuneato tra la libreria e il tavolo, fui assalito da una strana sequela di emozioni. Dapprima mi prese un’intensa eccitazione. Avevo la sensazione che in quel libro si dicessero cose della massima importanza su argomenti della massima urgenza, che io dovevo assolutamente capire. Poi, con un impeto di ribellione, venne la scoperta che, invece, non ero in grado di capirle. Quel libro, pensai con un senso di indicibile vergogna, era scritto con parole inglesi e con frasi che seguivano la grammatica inglese, eppure a me sfuggiva completamente il suo significato. Infine, l’emozione più strana di tutte: la certezza che il contenuto di quel libro, anche se non lo capivo, fosse non so come affar mio, una cosa che mi riguardava personalmente, o meglio, che riguardava un me stesso futuro … Non c’entrava però il desiderio; non è che “volessi”, nel senso comune del termine, padroneggiare da grande l’etica kantiana; ma era come se si fosse alzato un velo a rivelare il mio destino. Poi, gradualmente, mi sentii come se mi fosse stato addossato il peso di un compito, la cui natura non avrei saputo spiegare se non dicendo: “Devo pensare”. A che cosa non sapevo, ma, quasi ubbidendo a quel comando, rimasi in silenzio, con la mente assorta”
(J. Hillman, “Il codice dell’anima”, Adelphi, Milano 1997, 31-32)

“Lei è così giovane, e si trova così al di qua di ogni inizio, e io vorrei, meglio che posso, caro amico, pregarLa di avere pazienza con tutto ciò che è irrisolto nel suo cuore, e di sforzarsi di provare amore per le domande in sé, come se fossero delle stanze chiuse a chiave, o dei libri scritti in una lingua straniera. Non si affanni, dunque, per ottenere risposte che non possono esserLe date, perché non sarebbe in grado di viverle. E ciò che conta, di conseguenza, è vivere tutto. Viva le Sue domande, adesso. Forse così, un giorno lontano, a poco a poco, senza accorgersene, vivrà già dentro la risposta” (Rilke, Lettere a un giovane, Qiqajon, Magnano 2015, 49)
Perché sono gli attimi in cui qualcosa di nuovo si è fatto strada dentro di noi, qualcosa che non conosciamo; i nostri sentimenti ammutoliscono in una timorosa sottomissione, tutto indietreggia dentro di noi, si crea un silenzio, e ciò che è nuovo, che nessuno conosce, si trova là, nel centro, e tace […]  (ibid., 82)

“Dal coraggio che abbiamo di affrontare la crisi della giovinezza, la crisi dell’incontro con la nostra debolezza, la crisi dell’incontro con la domanda su noi stessi, da questo coraggio o dalla sua mancanza, comprendiamo se abbiamo avuto qualcuno che ci ha amato fino al punto da incoraggiarci ad attraversare questo territorio pericoloso, impervio ma necessario” (L.M. Epicoco, Telemaco non si sbagliava, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018, 19).

«Credo che questo sia un inizio e credo di essere sul punto di maturare lentamente verso quest’obiettivo: prendersi sul serio. Credere in se stessi e credere che abbia un senso cercare di trovare la propria forma. Si scappa tanto spesso da se stessi – lo si vede e sente continuamente attorno – sulla base del motto «non è poi così importante» oppure «accadono tante cose più importanti in questo mondo che non posso certo dare troppa importanza a me stesso». E così tante cose restano a giacere nelle persone come materiale grezzo, perché la gente crede che la sua materia non sia degna di elaborazione. E si lasciano poi confondere dalla quantità e diversità; e da quelli che ai loro occhi sono i doni più preziosi e importanti, e dalle possibilità degli altri».
(Etty Hillesum, Diario, Adelphi, Milano 2012, 586)

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