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Intervista

Scola: «Nuovo umanesimo?
Si può, ascoltando la vita»

«La formula coniata da Benedetto XVI di “ecologia dell’uomo” come condizione per la vera ecologia del pianeta, a me sembra molto appropriata e chiede di essere approfondita»

di Ilaria NAVA Agenzia Sir

9 Dicembre 2013

«In verità, nutre la vita solo ciò che la rallegra»: è la proposta di un nuovo umanesimo, attraente e in armonia con il pianeta, quella contenuta nel libro Cosa nutre la vita?, che l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha dedicato ai temi dell’Expo 2015 intitolato “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Il volume – in uscita da oggi per il Centro Ambrosiano e in ebook nella collana ‘I corsivi’ del Corriere della sera – riprende e amplia i contenuti del Discorso alla Città.

«Il Discorso ha inteso approfondire i termini chiave del titolo dell’Expo, che sono l’alimentazione, la vita, l’energia e il pianeta, cercando di coniugarli e di comporli in unità, in modo che si veda la sorgente che li ispira che, in ultima analisi, è la concezione dell’uomo e della vita comune – precisa l’Arcivescovo -. Nello stesso tempo, è stato un modo per interrogarci sulla grande importanza di questo avvenimento per Milano e per il suo futuro».

Come deve essere, secondo lei, un rapporto con il pianeta davvero rispettoso della natura?
È fuori dubbio che in passato abbiamo ampiamente corso il rischio di considerare il creato come una risorsa inesauribile, quasi come una miniera da cui cavare tutto, e la nascita dell’ecologia ci ha messo in guardia da tale rischio. Talune critiche al libro della Genesi, che starebbe alla base di questa concezione “dominatrice” del pianeta, sono ingiustificate. Così come è ingiustificata, dall’altra parte, una sacralizzazione eccessiva del pianeta, come se l’uomo non abbia da sempre interferito con la sua cultura al fine di rendere la vita di tutti più degna e in armonia con il pianeta stesso. Quindi, dobbiamo affrontare il rapporto con il cosmo dentro una situazione di interscambio, di equilibrio tra tutti gli esseri viventi e con il cosmo stesso.

Quali riduzionismi possiamo evitare per arrivare in profondità trattando la questione ecologica?
Se con l’indubbia ricchezza di proposte che si possono prevedere, l’Expo si limitasse soltanto a fornire con tutti i mezzi oggi possibili dati tecnici su questi temi, mancherebbe il bersaglio perché è evidente che sotto l’analisi di questi aspetti, che interessano la vita di tutta l’umanità, alla fine ritorna la domanda antropologica, la domanda sull’uomo: chi è l’uomo, per cosa vive, a cosa tende, come vive i rapporti con gli altri. Per questo motivo, la formula coniata da Benedetto XVI di «ecologia dell’uomo» come condizione per la vera ecologia del pianeta, a me sembra molto appropriata e chiede di essere approfondita in se stessa, e nel suo legame con i temi dell’Expo.

Nel libro affronta anche alcune questioni piuttosto controverse…
Le questioni scottanti sviluppate sono solo alcune: si incomincia con una notazione sulla tecnocrazia, mettendo in evidenza il rischio di una visione e di una gestione tecnocratica di un ordine mondiale e dei singoli Paesi; questa visione, senza voler ovviamente svalutare il peso degli esperti e dei competenti, rischia però di mettere ai margini il soggetto e i corpi intermedi. Un’altra questione che viene affrontata alla luce degli ultimi dati a nostra disposizione è il grande problema della fame. A essa connessi sono anche il problema della sovranità alimentare e delle piante geneticamente modificate, infine quello relativo all’applicazione sempre più radicale dei sistemi finanziari generali al mondo dell’agricoltura. Quest’ultima questione, oltre a portare con sé tutti gli inconvenienti della cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia, si rivela ancora più gravosa nel momento in cui tratta il cibo come pura merce.

In che modo l’Expo può incidere in termini di possibile, reale e duraturo miglioramento per la vita dell’uomo?
Il grande cambiamento che è domandato dal tema dell’Expo, e comunque da un’autentica ecologia umana, non è soltanto a livello delle macro-strutture, ossia dei sistemi politici, finanziari e delle modalità di produzione degli alimenti, ma è realmente un tema molto esigente perché attende da miliardi di persone piccoli cambiamenti a proposito di migliaia e migliaia di comportamenti. Quindi, porta in sé un’urgenza educativa realmente imponente, ma necessaria. Bisogna evitare che l’Expo sia soltanto l’occasione per riposizionare Milano con un brand rinnovato sulla scena del mondo. Bisogna che Milano prenda su di sé la sfida che tutta l’umanità di oggi si trova di fronte: nel passaggio al nuovo millennio vediamo la presenza di tanti frammenti positivi che abbiamo ereditato dalla modernità, ma manca un punto unificante, un punto di sintesi. È come se la nostra fosse una civiltà piena di buone schegge, ma che domanda unità. Questa può venire da un nuovo umanesimo, ossia da un tentativo di mettere in evidenza la bontà di un io che si concepisce in relazioni: in relazione con gli altri, in relazione equilibrata col cosmo e in relazione con l’Altro. Da qui fa discendere stili di vita, pratiche di vita buona mediante le quali valorizzare la persona e tutti i soggetti intermedi. Da questo punto di vista, Milano può offrire a tutto il mondo esempi significativi, perché nel suo Dna e nella sua storia ci sono molti elementi che possono consentire questa nuova prospettiva futura.

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