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Verso gli altari

La suora di San Vittore, santità al femminile

Prosegue l’inchiesta diocesana per la beatificazione di suor Enrichetta Alfieri. Suor Wandamaria Clerici ne ricorda i tratti spirituali, le caratteristiche umane

di Luisa BOVE

2 Febbraio 2011

Si è aperta il 30 gennaio 1995 a Milano l’inchiesta diocesana per la beatificazione di suor Enrichetta Alfieri, ma ancora oggi la ricerca storica non si è conclusa, spunta qualche testimone, una fotografia, uno scritto… Ma che cosa significa, per le suore della Carità, questo possibile riconoscimento da parte della Chiesa? A rispondere è suor Wandamaria Clerici, perito storico della Causa e notaio insieme a suor Maria Guglielma Saibene. «Per noi vuol dire rimettersi in gioco nel cammino verso la santità – dice la religiosa -, perché siamo tutti chiamati alla santità, ma essere santi oggi non è così popolare. Avere una consorella che diventa un modello è uno stimolo a “volare alto” nonostante quello che sta succedendo e le proprie mediocrità. Suor Enrichetta è una figura che interpella non solo le Suore della Carità, ma ogni donna, ogni cristiano e italiano impegnato anche civilmente. Io che la “frequento” da 33 anni non mi sono ancora stancata».

Quali i tratti spirituali che avete “ereditato” da lei o vorreste imitare?
Troviamo in suor Enrichetta gli aspetti tipici del carisma: l’esaltazione della carità, la devozione a Maria; il servizio ai poveri, la spiritualità della croce… Lei stessa diceva: “La vera religiosa davanti alla croce risponde sempre con un sorriso” e questa caratteristica le ha permesso di leggere tutto quello che capitava in un altro modo, anche i 4 anni di prova, di immobilità, di incomprensione…

E rispetto alle sue caratteristiche umane che cosa può dire?
Era una donna intelligente, molto creativa, colta e preparata, pedagoga ed evangelizzatrice. Aveva iniziato come insegnante, poi ha continuato a vivere una pedagogia fecondata dagli interventi del Signore nella sua vita. Non parlava molto del miracolo della sua guarigione, se non interpellata, era riservata e da Vercelli era stata inviata a Milano. Era una donna molto equilibrata, elegante e dal tratto raffinato, parlava in modo pacato e colpiva per la sua serenità in un luogo segnato dal rumore.

Si dedicava a tutti senza distinzione…
Sì, teneva contatti con il direttore e gli avvocati fino all’ultimo arrivato in carcere, più povero o incancrenito nel male. Prima c’erano i detenuti ordinari, poi i politici, gli ex fascisti… ma per suor Enrichetta non c’era differenza. Durante le rivolte sarà lei a mettere pace e le suore saranno sempre rispettate. Responsabile della Sezione femminile, riuscì a essere molto autorevole, senza mai imporsi. Nel periodo della dominazione fascista e nazista interloquiva con un caporale famigerato che si intimoriva al suo apparire.

Che cosa può dire una figura come suor Enrichetta alle ragazze di oggi?
Come essere donne, in termini intelligenti e propositivi, assumendo anche responsabilità civili, oltre che religiose, ponendosi in dialogo con la differenza, sempre però mantenendo un’identità chiara e precisa (donna, italiana, cattolica), poi ognuna fa la propria scelta vocazionale. Suor Enrichetta non si lasciava condizionare dalle situazioni storiche, né intimorire dai soprusi, dal direttore o dal dittatore del momento, proponendo la libertà, la verità e la carità di Cristo. Faceva di tutto, specie nella Sezione femminile dove era superiora, per difendere la dignità delle donne, delle madri, creando l’asilo nido, lo spazio dell’“aria” e migliori condizioni di vita. Penso anche al Patronato per la formazione e il lavoro per edificare le persone e portarle a redimersi attraverso la fatica ordinaria.

Come la comunità di via del Caravaggio e tutte le suore della Carità si preparano alla beatificazione della “mamma di San Vittore”?
Con grande gioia, entusiasmo e impegno, cercando di farla conoscere il più possibile ovunque, non solo nell’ambito del carcere, dei cappellani, dei detenuti, perché suor Enrichetta ha molto da dire anche ai giovani e alle giovani, ai cristiani e agli italiani in generale. La sfida è quella di coinvolgere il maggior numero di persone nella sua conoscenza, sfruttando tutte le opportunità che ci vengono offerte attraverso pubblicazioni, un film-documentario, il sito… Tener viva la memoria di suor Enrichetta e passarla ad altri vuol dire dare spessore all’umanità, che altrimenti si abbruttisce. Vale la pena riproporre la sua storia che è per la vita, la libertà e la carità.