David Cronenberg torna a turbare e affascinare con “The Shrouds”, un’opera che si insinua nelle pieghe più oscure del lutto, del desiderio e della tecnologia. Al centro della narrazione troviamo Karsh, un imprenditore di successo che ha reinventato il concetto di lutto con una insolita invenzione: GraveTech. Questa tecnologia all’avanguardia permette ai cari di monitorare in tempo reale la decomposizione dei defunti attraverso sudari metallici dotati di scanner e una app dedicata, trasformando le tombe in un macabro “cinema dei morti”.
La persistenza del passato nel presente, l’eco di chi non c’è più che continua a farsi sentire, ricorda la “hauntologia” del filosofo Jacques Derrida. Rebecca, pur defunta, è costantemente “presente” attraverso le immagini trasmesse da GraveTech, uno spettro tecnologico che infesta la vita di Karsh. La sua immagine sullo schermo e sulla lapide agisce come un’ombra che condiziona le azioni e le relazioni del protagonista, un “non-presente” che non lo abbandona.
Cronenberg esplora con lucidità il paradosso di una tecnologia che promette vicinanza ma rischia di alienare ulteriormente dal reale processo del lutto. L’IA Honey, assistente di Karsh, riflette questa ambiguità: un’immagine rassicurante ma distante della sua amata. Il film suggerisce che il tentativo di controllare la decomposizione corporea sia un’illusione di arginare la natura mutevole della morte. Questa oggettivazione, come evidenzia Derrida, allontana dal vero lutto, confinando Karsh in un ciclo di presenza e assenza. Anche il tema del doppio, incarnato dalla somiglianza tra Rebecca e sua sorella Terry, può essere letto come un’eco spettrale, una figura che porta con sé il ricordo della persona scomparsa, confondendo i confini tra ciò che è e ciò che è stato.
Malgrado una narrazione intricata, “The Shrouds” avvolge con la sua atmosfera cupa. Lungi da utilizzare facili sensazionalismi, Cronenberg usa l’orrore fisico per esplorare la tenacia del dolore e un’eventuale rinascita emotiva, che in Karsh si traduce in visioni erotiche e ricordi vividi di Rebecca.
La tecnologia di Karsh permette davvero di mantenere un legame significativo con i defunti, o crea solo un’illusione di presenza, intrappolando i vivi in un limbo spettrale? Il film lascia allo spettatore il compito di confrontarsi con queste domande, suggerendo che la nostra ossessiva ricerca di significato e di controllo di fronte alla morte potrebbe essere una vana illusione.
Libro ispirato ad alcune tematiche del film: “Norwegian Wood” di Haruki Murakami


