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Cinepensiero

Il viaggio doloroso: quando la redenzione passa attraverso la sofferenze

Luca Zingaretti esordisce alla regia con un film al cui centro c'è il rapporto tra un padre e suo figlio, dove la sofferenza è una tappa necessaria per re-innamorarsi di se stessi

Di Giovanni SCALERA

16 Aprile 2025

“La casa degli sguardi” diretto da Luca Zingaretti narra la storia di Marco, un giovane poeta che, a causa del dolore per la perdita della madre e delle dipendenze, precipita in un percorso di autodistruzione. Il film esplora il suo lungo e faticoso percorso di redenzione.

Gianmarco Franchini incarna intensamente il giovane, mentre Zingaretti è il padre, un tranviere romano dalla saggezza umile e dalla preoccupazione discreta. Diversamente dal romanzo di Daniele Mencarelli – da cui il film è tratto – la sceneggiatura si concentra sul legame padre-figlio.

Il genitore, infatti, lungi dall’essere oppressivo, intuisce la deriva del figlio e, nel tentativo di salvarlo dalla spirale tossica, gli procura un impiego in una cooperativa di pulizie presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Qui Marco si confronta con la sofferenza infantile, incrinando il suo nichilismo.

È così – attraverso la visita a una bambina deceduta e la timida interazione dietro una finestra con un bambino malato – che per il protagonista il lavoro si trasforma in una sfida. Il fulcro del film è la sensibilità di Marco, un dono poetico che si rivela anche un peso esistenziale, acuito dal lutto materno e fonte di elevazione artistica e profonda sofferenza interiore. Sarà proprio il contatto umano, grazie a colleghi generosi e complici, ad alimentare una flebile luce di rinascita. In questo contesto, risuona il pensiero di Friedrich Nietzsche sulla resilienza: “Ciò che non mi uccide, mi fortifica“, un sottotesto del viaggio di Marco. Un percorso in cui la sofferenza, pur lacerante, diviene una tappa necessaria per riscoprire il valore dell’esistenza e la possibilità di una nuova affermazione di sé.

“La casa degli sguardi” privilegia delicatezza e gentilezza, seppure in un dramma esistenziale. Il rapporto padre-figlio è un faro di redenzione attraverso l’amore incondizionato. Il finale suggerisce un ritorno alle radici affettive come punto di partenza per rialzarsi e ricostruire la propria vita. Pur con alcune semplificazioni, l’opera prima di Zingaretti si distingue per onestà emotiva e per l’interpretazione di Franchini. Il film invita a riflettere sulla fragilità umana e sulla speranza di ritrovare la forza negli altri e in sé stessi. La poesia resta sullo sfondo come promessa di bellezza interiore che attende di essere riscoperta.

Canzone ispirata al film: Fragile – Sting