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Calcio

Stramaccioni:
«L’oratorio, luogo di speranza»

In un incontro con gli allenatori del Csi Milano il tecnico dell’Inter ha ripercorso la sua carriera e sottolineato i valori educativi che lo sport in oratorio porta con sé

12 Marzo 2013

«È follia chiederti di diventare ambasciatore dello sport in oratorio?».
«La follia è questa domanda… Per me è un onore!».

Basterebbe questa breve risposta, data di getto, per capire chi è Andrea Stramaccioni e il senso della serata che lo ha visto protagonista lunedì scorso in via Sant’Antonio. Un secondo passaggio ha chiarito, ulteriormente, la personalità e la stoffa di cui è fatto questo giovane allenatore, approdato nell’aprile scorso sulla panchina dell’Inter: «Quando ricevetti il vostro invito eravamo secondi in classifica, poi le cose si sono complicate. Mi sono chiesto, visto il momento difficile, se fosse opportuno essere qui questa sera. La riposta è stata: assolutamente sì».

Un lungo applauso ha fatto seguito alle parole dell’allenatore interista e non è stato un semplice gesto di benvenuto, ma un modo per esprimere vicinanza e grande stima. «Qui sei a casa, sei in famiglia», gli ha confermato il presidente nazionale del Csi Massimo Achini, seduto al suo fianco e mattatore della serata. Una frase a cui ha fatto eco un secondo applauso che sembrava non finire mai. Stramaccioni a casa lo era davvero, se non altro perché cresciuto sui campi d’oratorio, quello del quartiere San Giovanni a Roma, dove ha trascorso la sua preadolescenza intrecciando significativi rapporti di amicizia, come quello con Fabio Liverani, a sua volta campione del grande calcio.

Una storia travagliata, quella di Andrea, costretto per un infortunio a dare l’addio alla carriera professionistica a soli 18 anni. La ripresa è stata difficile. Lo studio, l’affetto della sua famiglia e l’interessamento del  suo ex procuratore, lo spingono verso la carriera di allenatore, iniziata su un campetto al nuovo Salario, quartiere popolare di Roma. Comincia così una nuova avventura che lo porta a sedere sulle panchine di numerose società di periferia. I risultati arrivano. Nei campionati dilettantistici conquista titoli provinciali, regionali, fino a quello nazionale nella categoria giovanissimi. Ancora un salto in avanti quando passa alla Roma, dove gli vengono affidate squadre di giovanissimi e allievi che, nel giro di poco, trascina in vetta alla classifica. Nel 2011 ecco la grande occasione nerazzurra. Viene scelto per allenare la Primavera e, a distanza di qualche mese, sostituisce Claudio Ranieri sulla panchina della prima squadra.

Nonostante la repentina ascesa, Stramaccioni conserva un’alta considerazione del mondo oratoriano di cui si sente parte: «Penso sia un luogo privilegiato, dove i ragazzi hanno l’opportunità  di crescere e interiorizzare valori importanti quali il rispetto, l’attenzione all’altro e la solidarietà. Inoltre l’oratorio offre una formazione religiosa e un percorso di fede necessari per un credente. L’oratorio è un luogo di speranza dove si coltivano amicizie e si può anche diventare campioni, non solo nel calcio».

I giovani sono la vera passione di Stramaccioni e su apposita domanda non lesinato i consigli: «È necessario che le società investano sui settori giovanili. Talvolta è difficile poiché i grandi club vogliono ottenere subito i risultati e quindi preferiscono optare per calciatori già pronti senza dare il tempo ai giovani di crescere e migliorare. Oggi , per fortuna, le cose stanno cambiando”. Le considerazioni vanno oltre, fino a esprimere due auspici, quasi due proposte: offrire maggiori chances ai giovani e potenziare le attrezzature sportive affinché ai ragazzi sia data la possibilità di giocare in luoghi adeguati: «Non scorderò facilmente gli occhi dei bambini che domenica hanno giocato a San Siro prima dell’incontro di campionato… Un vero spettacolo. Sono certo che non dimenticheranno mai quell’esperienza».

Quale errore non deve fare un allenatore? La risposta del mister è stata immediata. «Un allenatore deve sempre parlare chiaro. La comunicazione deve essere attenta alla sensibilità del ragazzo, diretta e veritiera. Un mio giocatore potrà dire che Stramaccioni non capisce nulla di calcio, ma non potrà affermare di non essere stato trattato da uomo a cui si sono dette le cose in faccia». Altra breve chicca sul rapporto da intrattenere con i cosiddetti “ragazzi difficili”. Punta sul patto di regole condivise, il giovane mister, suggerendolo come metodologia per sollevare l’allenatore da un confronto o scontro che non deve mai ridursi su un piano personale. Non solo, invita la platea a riflettere sul fatto che i cosiddetti “ragazzi difficili” esprimono una vivacità esagerata dovuta spesso a problemi vissuti in famiglia o a scuola a cui, poi, danno sfogo sul campo di gioco.

Anche l’integrazione è un obiettivo raggiungibile attraverso il calcio, secondo Stramaccioni: «Lo sport è un veicolo di primaria efficacia per integrare i ragazzi di altri paesi e culture. La lingua del calcio è unica come le regole da rispettare. Tuttavia il mio sogno è che non si parli più di integrazione, perché solo allora vorrà dire che questo problema sarà completamente superato, come accade negli Stati Uniti o in Gran Bretagna».

Prima che la conversazione giunga al termine, un’ultima domanda scatena l’entusiasmo della platea. L’appuntamento di lunedì è stata un’esperienza importante per gli allenatori Csi, ma quanto lo è stato per il tecnico neroazzurro? «Era importante prima che entrassi e ora, a conclusione dell’incontro, ne sono ancora più sicuro. Desideravo ripercorrere con voi le diverse tappe della mia esperienza calcistica per testimoniare che è possibile farcela con le proprie forze grazie all’impegno e alla passione per i ragazzi».