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Ciclismo

La rosa di Nibali, un’isola felice

La prima vittoria di un siciliano al Giro d’Italia è un motivo di soddisfazione per uno sport che continua a essere afflitto da casi di doping

di Mauro COLOMBO

27 Maggio 2013
Vincenzo Nibali on stage eight at the 2013 Giro d'Italia

Nei giorni in cui andava completando il suo capolavoro in rosa – con lo splendido sigillo della fuga solitaria nella tormenta di neve delle Tre Cime di Lavaredo -, Vincenzo Nibali ha ricevuto forse più ringraziamenti che complimenti. «Grazie, Vincenzo!», più che «Bravo, Vincenzo!». Grazie, perché?

Grazie perché ha nobilitato un Giro difficile, avversato dal maltempo che ha cancellato dal percorso transiti gloriosi come quelli sul Gavia e sulla Stelvio, decapitato dal forfait in extremis di Basso e dai ritiri in corsa di Hesjedal e Wiggins. La superiorità di Nibali è stata tale da spegnere sul nascere l’interrogativo su che cosa avrebbe potuto accadere se il tracciato fosse stato completo e se la sfortuna non avesse tolto di mezzo avversari importanti: avrebbe vinto lo stesso.

Grazie perché con la sua vittoria, dopo quasi cento edizioni, anche la Sicilia è entrata nella geografia del Giro d’Italia. Fin qui relegata al ruolo di ospite accogliente e calorosa dei “girini”, o di terra madre di generosi gregari e di corridori capaci solo di exploit isolati, l’isola per la prima volta si scopre “culla” di un campione in grado di indossare la maglia rosa fino all’ultimo giorno.

Grazie perché Nibali è, da sempre, uno dei corridori più disponibili col pubblico. Lo chiamano “Squalo”, ma esibisce la sua ferocia solo in corsa. Giù dalla bicicletta non si sottrae mai a una stretta di mano, a un abbraccio, alla richiesta di una foto o di un autografo.

Grazie perché, soprattutto, il Giro 2013 sarà ricordato per le sue imprese, e non per lo squallido episodio di doping che ha visto protagonista Danilo Di Luca. Vincitore nel 2007, già appiedato per una vicenda analoga, a 37 anni suonati è caduto nuovamente nella rete, e stavolta per sempre. Inspiegabile – a quell’età, e senza realistiche prospettive di successo – il ricorso all’Epo, patetico il suo tentativo di difesa. Perché in questi casi non può esserci difesa.

Grazie, infine, perché Nibali non si fermerà certo qui. A ventotto anni può essere legittimamente ammesso nel novero dei candidati alla vittoria del Tour de France, quest’anno o il prossimo. Nel suo palmarès, oltre al Giro, c’è già la Vuelta. Tra gli italiani, solo Felice Gimondi può vantare il tris di successi nelle tre principali corse a tappe nazionali. Nibali è sulla buona strada per imitarlo.