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Suicidi

«Atleti “cedono”
se lo sport non educa alla vita»

Edio Costantini (Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport) sui recenti casi di Giulia Albini e Alessio Bisori: «Gli allenatori aiutino i giovani a scoprire nello sport speranza e senso»

5 Giugno 2012

«Dopo i suicidi della pallavolista Giulia Albini e del nazionale di pallamano Alessio Bisori, sarebbe opportuno porsi la domanda se lo sport che organizziamo nelle società sportive, nei quartieri, negli oratori, sia davvero educativo. Concorre autenticamente alla crescita integrale della persona?». Edio Costantini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, braccio operativo per lo sport del Pontificio Consiglio per i Laici sezione “Chiesa e sport” e dell’Ufficio nazionale turismo, tempo libero e sport della Cei, dopo la tragica scomparsa dei due giovani atleti, solleva la domanda a tutto il sistema sportivo italiano.

«Lo sport – prosegue Costantini – dovrebbe essere il “luogo” per eccellenza in cui un giovane possa trovare se stesso, i suoi limiti e le sue potenzialità. E invece non è riuscito a dare la giusta risposta a quel desiderio di vita, nascosto in Alessio e Giulia. “Non ci basta lo sport”, è il grido inascoltato di una moltitudine di giovani che frequentano assiduamente palestre e campi sportivi. Secondo una visione mercantile della vita, Alessio Bisori aveva tutto: una ragazza, tanti amici, 54 presenze in maglia azzurra e tante vittorie. Ad Alessio, così come a Giulia, mancava la cosa più importante, tanto da fargli urlare quel “non riesco più a vivere”. Forse, come molti altri giovani, si era smarrito nell’arcipelago della mancanza di un senso vero della propria esistenza».

«Gli educatori, gli allenatori e i dirigenti sportivi – prosegue il presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport – hanno il dovere di offrire ai ragazzi e ai giovani che incontrano sui luoghi sportivi, non solo partite di pallamano, calcio, pallavolo o basket, ma un’esperienza sportiva che li possa orientare a scoprire la fonte della speranza, il motivo per cui vale la pena vivere, faticare, sudare, rispettare gli altri, rispettare le regole, amare. In poche parole, hanno il dovere di aiutarli a comprendere che l’esperienza sportiva può diventare una risposta e contribuire, come amava dire il beato Giovanni Paolo II “a rispondere a quelle domande profonde che pongono le nuove generazioni circa il senso della vita, il suo orientamento e la sua meta”. Sono le stesse domande – conclude Costantini – alle quali, Alessio e Giulia, da soli, non hanno saputo rispondere».