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Rho, una città aperta al mondo

Dalle iniziative tese a favorire l'accoglienza degli stranieri all'appuntamento in Fiera con l'Expo 2015, i motivi di una vocazione alla mondialità

5 Giugno 2008

21/05/2008

di Saverio CLEMENTI

Una città sicura e bella da abitare, capace di rigenerarsi, solidale e amica di ogni uomo, aperta al mondo e accogliente, in grado di vivere la speranza. È ambizioso e affascinante il “sogno” di città che don Gian Paolo Citterio, prevosto di Rho, ha raccontato nell’omelia in occasione della festa patronale di San Vittore Martire.

Quest’anno il tradizionale appuntamento nella chiesa prepositurale ha assunto un significato particolare per due motivi: durante la Quaresima la comunità cristiana rhodense ha partecipato alla solenne Via Crucis guidata dal cardinale Tettamanzi all’interno del Polo espositivo di Rho-Pero; l’attribuzione a Milano dell’Expo 2015, che avrà come sede principale proprio i padiglioni fieristici.

Una città che si appresta ad aprirsi al mondo, con tutte le opportunità e i rischi che ne deriveranno. Se dal Cardinale era arrivato l’invito a «vivere la differenza come valore; perché ognuno è portatore di una ricchezza da condividere con gli altri», il prevosto entra nel merito dei problemi: «Rho è sfiorata e attraversata da eventi e da percorsi che la proiettano nel mondo ed è perciò coinvolta concretamente nel progettare un futuro che la collega a tutti i popoli e ad ogni nazione. Già per gli antichi romani il crocevia all’ingresso dell’attuale piazza San Vittore era strategico per il passaggio verso gli orizzonti europei. Ora Rho assume una vocazione aperta alla mondialità».

Forte è perciò l’invito ad accrescere il desiderio di conoscenza dell’altro, delle diverse culture, etnie e religioni: «Non si può essere sbrigativi assumendo atteggiamenti banali e superficiali, in nome di un appiattimento egualitario o spinti dall’immediato successo nel cavalcare la paura e nell’innalzare barriere nei confronti dello sconosciuto e del diverso».

Don Citterio non ne parla, ma non è difficile richiamare alla memoria le tensioni che hanno attraversato la città a seguito della decisione della precedente amministrazione civica guidata dal sindaco Paola Pessina, in collaborazione con la Caritas Ambrosiana, di aprire un campo nomadi in periferia.

Le nove parrocchie cittadine hanno avviato da tempo interessati percorsi per favorire l’accoglienza e l’inserimento degli stranieri. Esiste poi una Consulta degli immigrati che coinvolge tutte le associazioni che lavorano per aiutare l’integrazione e per tessere forme intelligenti di convivenza. La Chiesa locale, in particolare, ha messo in atto azioni pastorali per la conoscenza e il discernimento delle diverse presenze di immigrati.

«Molti cattolici di altre etnie e lingue – spiega il prevosto – hanno celebrato insieme la Veglia di Pentecoste in Santuario. Inoltre i molti cristiani non cattolici, soprattutto ortodossi, hanno potuto trovare accoglienza fraterna in un adeguato ambiente in Casa Magnaghi, messo a disposizione per le loro liturgie e preghiere. È poi costante il dialogo con coloro che professano altre religioni non cristiane, in particolare gli islamici, con i quali devono crescere la stima e il rispetto reciproci».

Ma non è tutto. La parrocchia centrale di San Vittore ha dato vita a un’Agorà Multiculturale, uno spazio finalizzato anche alla formazione al lavoro di chi è in difficoltà. Un laboratorio accoglie alcune donne rom che frequentano corsi di taglio, cucito, economia domestica e italiano. Aule che pochi giorni fa sono state dedicate al ricordo di Marialuisa Melchiori, un’insegnante che ha dedicato tutta la vita a promuovere progetti educativi e culturali.