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Come cambia la Barona

Grazie a nuovi residenti, è molto migliorata la vivibilità del quartiere alla periferia sud-ovest di Milano, nel quale l'Arcivescovo ha concluso ieri la visita pastorale decanale. I problemi non mancano, ma sono condivisi

5 Giugno 2008

10/03/2008

di Cristina CONTI

Domenica scorsa, con una celebrazione eucaristica presso la parrocchia di S. Rita, l’Arcivescovo ha concluso la visita pastorale al decanato Barona. Quali sono i problemi del quartiere e come è cambiato negli ultimi anni? L’abbiamo chiesto a padre Mario De Sanctis, decano e parroco della chiesa di Santa Rita da Cascia.

Come si vive in questa zona?
Il nostro decanato, innanzitutto, è molto grande. Le comunità sono piuttosto distanti l’una dall’altra, ma, ciononostante, c’è una forte volontà di appartenenza e questo favorisce gli scambi e la condivisione quotidiana: se si vuole davvero stare insieme, insomma, non c’è lontananza che tenga. C’è stato un forte miglioramento rispetto al passato, quando queste vie erano note alla cronaca per episodi di delinquenza. Non ci sono devianze particolari, ma solo sporadiche o, comunque, occasionali.

A cosa è dovuto questo cambiamento?
C’è stato un certo ricambio tra i residenti. Oggi il quartiere è abitato in prevalenza da un ceto medio-basso, ma ci sono anche punte molto alte. Siamo vicini al centro, ben serviti dai mezzi pubblici: una situazione che permette facili spostamenti senza usare l’auto. Perciò molti hanno deciso di trasferirsi qui e questo ha portato a una trasformazione in positivo della zona. Il laicato è ben preparato e disposto a farsi carico delle proprie responsabilità ed è anche molto partecipe alla vita delle singole comunità cristiane. Inoltre, viene data molta importanza all’aiuto ai più deboli. E perciò facciamo appello alle istituzioni, affinché ci aiutino a costruire e a inventare mezzi di socializzazione. Condividere i propri problemi e aiutarsi vicendevolmente è fondamentale per la crescita delle periferie della metropoli.

Qual è il problema più urgente?
Sicuramente quello della casa. Comprarsene una costa troppo e non sempre ci si può sobbarcare il costo di un mutuo. Il lavoro precario, poi, non facilita certo le cose. Così molti giovani hanno deciso di andarsene fuori città. Anche a questo proposito facciamo da tempo un forte appello alle autorità civili, affinché possano attuare politiche di sostegno a favore dei giovani e incentivi per chi rimane.

Immigrati e italiani. Come vanno le cose?
I rapporti sono molto buoni. Ormai gran parte dei residenti sono stranieri, ma si tratta di persone tranquille e oneste che vengono in Italia per lavorare. Provengono prevalentemente dall’America Latina, dalla Romania e dall’Oceania. C’è stata una forte integrazione con le comunità e c’è anche molta partecipazione alle attività organizzate dalle parrocchie. Sono, infatti, per lo più cattolici.

In molte zone di Milano è alta la presenza di anziani soli. È così anche da voi?
Sì, ma sono seguiti con cure particolari. Nelle parrocchie, infatti, c’è un’attenzione specifica nei confronti della terza età. Vengono organizzati incontri settimanali, attività che favoriscono la socializzazione e ci sono addirittura case in cui queste persone sono ospitate e curate, come per esempio la Casa Famagosta. In questi quartieri, infatti, il volontariato è molto presente.

Ci sono altre iniziative nei confronti di coloro che si trovano in condizioni svantaggiate?
Sì, ne abbiamo diverse, proprio per quell’impegno nel sociale a cui facevo riferimento prima. Tra queste, per esempio, dobbiamo ricordare la Cooperativa sociale Santa Rita, che accoglie ragazzi diversamente abili, li fa lavorare e opera grazie alle sovvenzioni della Regione Lombardia. E poi, ovviamente, il Villaggio Barona.