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Bollate, lavorare dietro le sbarre

Il carcere ospita oltre 600 detenuti, 220 lavorano (a rotazione) alle dipendenze dell'istituto di pena, oltre un centinaio per cooperative sociali e ditte private. Molti imparano un mestiere da spendere anche "fuori"

28 Luglio 2008

07/08/2008

di Luisa BOVE

Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, questo vale ancora di più per chi è recluso. Anche la riforma penitenziaria del 1975 insiste molto sull’attività lavorativa come elemento cardine dell’esecuzione della pena, perché diretta a promuovere il reinserimento sociale del detenuto. Per questo il lavoro non deve avere «carattere afflittivo» ed essere organizzato secondo metodi analoghi a quelli della società libera. Va inoltre ricordato che con la legge Smuraglia del 2000 le imprese che assumono detenuti possono avere agevolazioni fiscali e retributive.

Il carcere di Bollate, diretto da Lucia Castellano, ospita 657 detenuti (dati del mese scorso, ndr) che hanno superato almeno il primo grado di giudizio con pene di media lunghezza. Questo istituto è nato con l’intento di favorire l’attività lavorativa, non a caso esistono ampi spazi con capannoni nei quali le società possono installare i laboratori e macchinari per far lavorare i reclusi. Nella cosiddetta zona industriale infatti è già stato collocato il call center, il laboratorio di assemblaggio e la falegnameria.

Per legge i carcerati possono svolgere un’attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (per esempio come scopino, porta vitto, cuoco, tabelliere, spesino…) oppure delle cooperative sociali che operano all’interno. Altri invece escono al mattino a lavorare e rientrano la sera grazie al beneficio dell’articolo 21; fino a qualche settimana fa erano 53 le persone che ne usufruivano, un passo importante in vista del pieno reinserimento nel contesto sociale a fine pena.

Tra le diverse cooperative presenti a Bollate ne ricordiamo alcune: Cascina Bollate (serre); Alice (sartoria); Abc. La sapienza in tavola (catering); Out Sider (data entry); Wsc (call center e assistenza tecnica); Ies (impianti elettrici); Estia (falegnameria e compagnia teatrale). L’associazione “Oltre il muro” invece ha due artieri pagati dall’amministrazione penitenziaria.

Varcando i cancelli del carcere ci si trova in ampi spazi e circondati da palazzine che ospitano i diversi reparti, tra i quali spiccano le serre e i campi coltivati della “Cascina Bollate”, la cooperativa sociale fondata nel dicembre 2007. «Abbiamo lavorato un anno per raggiungere questo traguardo – dice la presidente Susanna Magistretti -, il tempo necessario per selezionare il gruppo di giardinieri, insegnare le basi e mettere a punto le collezioni botaniche». Oggi i dipendenti regolarmente assunti sono 5, più un part-time, ma presto ne arriverà un altro.

In realtà le serre esistevano già a Bollate ed erano gestite dalla polizia penitenziaria. «Allora si coltivavano piante generiche come i gerani e i ciclamini, fiori stagionali che si trovano anche all’Esselunga», ammette Magistretti. «La nostra idea invece è di trovare un mercato di nicchia di altissima qualità». Non vogliono coltivare piante rare, ma insolite sì. La “Cascina” ha già partecipato con successo a Orticola, la mostra di giardinaggio che espone a Milano con vivaisti provenienti da tutta Italia. «Abbiamo vinto una mozione di encomio per la qualità della nostra collezione e l’accuratezza della nomenclatura botanica», dice con orgoglio la presidente, ricordando la loro presenza anche ad altre esposizioni di primavera che hanno procurato loro una visibilità anche sui quotidiani e sui giornali di categoria come “Gardenia”.

«I giardinieri di alto livello che sappiano riconoscere le piante sono pochissimi anche “fuori” – spiega Magistretti -. Noi vogliamo creare professionisti e se oggi dico ai miei ragazzi: “Andatemi a prendere una Ratabida columnifera”, sanno che cos’è». «Lavorare qui mi dà un senso di libertà perché sono all’aria aperta – dice Michele, 44 anni -, specie per uno come me che è in carcere da 10 anni». In passato aveva lavorato al call center, ma non gli piaceva, «poi ho fatto il volontario quasi per un anno e ora lavoro da quattro mesi alla “Cascina Bollate”». Fare il giardiniere gli piace molto e spera una volta fuori di continuare la professione, «anche se non conosco ancora tutti i nomi dei fiori perché sono in latino». Ma in carcere Michele si è messo anche a studiare. «Ho finito il quarto anno di economia aziendale corrispondente in lingue estere», spiega, e da quando sono terminate le lezioni lavora dalle 6 alle 12 e dalle 14 alle 17.

“Cascina Bollate” naturalmente è già entrata nel mercato. «Vendiamo a giardinieri professionisti, ai vivai che ci commissionano piante e al pubblico – dice la titolare -, abbiamo un negozio esterno aperto il mercoledì e il venerdì dalle 14.30 alle 18, ma vendiamo anche agli agenti e al personale del carcere». Oltre ad avere piante da fiore di ogni genere e tipo, a Bollate si coltivano anche verdure stagionali: pomodori, insalata, melanzane, peperoni… Quando però la Cascina produce 30 chili di piselli come nei mesi scorsi, fatica a smaltirli, perché non c’è la possibilità di conservare nulla. Ora però la presidente sta prendendo accordi anche con i Gas (Gruppi acquisto solidale) nella speranza di allargare il giro dei clienti. «I prezzi sono di mercato, ma competitivi rispetto al biologico – assicura Magistretti -, vendiamo anche on line attraverso il nostro sito www.cascinabollate.org».