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L’arcivescovo Delpini a Cuba

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Intervista

Zago: «Andiamo a Cuba per conoscere e collaborare»

Incontrare i «fidei donum» ambrosiani e proseguire la cooperazione con la Chiesa locale: questi gli scopi principali della missione dell’Arcivescovo nell’isola caraibica secondo il responsabile della Pastorale missionaria diocesana, che parla anche del viaggio in Turchia in programma in agosto

di Annamaria BRACCINI

10 Luglio 2023
L'Arcivescovo durante il viaggio a Cuba nel 2018

«I viaggi pastorali dell’Arcivescovo hanno sempre due particolari motivazioni: la prima è andare a visitare i nostri sacerdoti presenti nelle Diocesi che hanno appunto richiesto l’invio di preti ambrosiani. Il secondo motivo è incontrare il pastore di quella Chiesa locale, in modo che la cooperazione possa continuare in modo buono e fruttuoso». A spiegare il senso del viaggio dell’Arcivescovo a Cuba è don Maurizio Zago, responsabile dell’Ufficio diocesano per la Pastorale missionaria, che lo accompagna nell’isola caraibica.

Qual è la presenza della Diocesi di Milano a Cuba?
Come forse molti sanno, tutto nasce da un appello che il cardinale Scola lanciò nel novembre 2016, per raccogliere la richiesta di invio a Cuba di alcuni fidei donum venuta dall’arcivescovo di Santiago de Cuba. Quattro sacerdoti accolsero la proposta: oggi due di loro sono presenti nella stessa parrocchia e altri due in altrettante parrocchie, sempre nella Diocesi di Santiago. Non sono proprio nella città, ma in quattro paesi vicini: don Adriano Valagussa e don Marco Pavan a Palma Soriano, don Carlo Doneda a Baire e don Ezio Borsani a Contramaestre.

Quanti sono i fidei donum ambrosiani oggi in terra di missione?
In tutto sono 38. Non sono tutti preti, naturalmente. Abbiamo due famiglie con bimbi, una è a Gerusalemme e l’altra a Pucallpa (Perù), oltre a una laica consacrata che si trova in Turchia; gli altri sono sacerdoti. A Cuba siamo presenti da sei anni, ma ci sono Diocesi come quelle africane e, appunto, in Perù, dove la presenza risale a molti anni fa. La prima, storica, è quella in Zambia, nella Diocesi di Monze, di cui abbiamo già festeggiato i 50 anni.

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In agosto, dopo essere stato a Lisbona per la Giornata mondiale della Gioventù, l’Arcivescovo si recherà anche in Turchia. La situazione in quel Paese è complessa, sia per la Chiesa Cattolica in generale, sia per i tremendi danni causati dal terremoto…
Il viaggio in Turchia è breve: durerà dal 12 al 16 agosto e ha come obiettivo l’incontro con l’unica fidei donum presente, Mariagrazia Zambon, una consacrata impegnata a Konya. Da lì ci sposteremo a Smirne, che è la sede episcopale. Il 15 agosto l’Arcivescovo presiederà la celebrazione eucaristica della Solennità dell’Assunta a Efeso. Non toccheremo, quindi, le zone terremotate. Da notare che, in novembre, per la Turchia partirà come fidei donum un altro sacerdote della nostra Diocesi, don Attilio Cantoni, che a Iskenderun collaborerà con il Vicario apostolico per l’Anatolia, monsignor Paolo Bizzeti.

Qualcuno osserva che siamo poveri di preti e di laici che si impegnino veramente. Perché, allora, partire per le terre di missione?
Il tema della povertà dei preti è un tema naturalmente molto circoscritto alle aree specifiche, perché per esempio, rispetto ad altre Diocesi, quella di Milano potrebbe sembrare ancora molto ricca di clero. Senz’altro, però, questo è un aspetto da tenere presente. Credo che l’utilità di un’esperienza come quella dei fidei donum sia da leggere all’interno di un processo – l’enciclica Fidei donum che ha dato inizio a tale realtà è stata scritta da Pio XII nel 1957 -, nel quale l’arricchimento che le nostre Chiese possono ottenere avviene nei fatti. Mi verrebbe da dire che questo arricchimento racchiude due direzioni: la prima è un allargamento di orizzonti, quindi, riuscire a capire che la nostra Chiesa fa parte di una più ampia, la Chiesa universale; e poi che questo stesso allargamento di orizzonti serve anche a noi per leggere i problemi che abbiamo vivendo nelle nostre terre. Si tratta di un aiuto reciproco tra Chiese sorelle.

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