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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Gazzada

Villa Cagnola, riscoprire la voglia di fare politica come bene comune

Folta partecipazione di giovani all’incontro con l’Arcivescovo in vista dell’avvio della Scuola di formazione per 18-40enni impegnati nella vita pubblica. Monsignor Delpini: «Non lamentatevi, ma abbiate fiducia e agite con competenza e concretezza per un vivere fraterno»

di Annamaria BRACCINI

19 Settembre 2017

«A Cesare quel che è di Cesare»: prende avvio dal titolo della Scuola di formazione sociopolitica promossa dalla Zona pastorale II (Varese) la serata che inaugura il corso 2017-2018, alla presenza dell’Arcivescovo monsignor Mario Delpini e del Vicario episcopale di Zona monsignor Franco Agnesi.

A Villa Cagnola ci sono amministratori locali (i sindaci di Varese e di Gazzada), sacerdoti, educatori, politici del territorio, un gruppo di richiedenti asilo ospitati in paese, ma, soprattutto, più di un centinaio di giovani. Il corso – che nella sua prima edizione si svolgerà dal 6 ottobre al 13 aprile – si rivolge infatti a chi, tra i 18 e i 40 anni, intende valorizzare il proprio impegno con una formazione attenta ai meccanismi istituzionali coniugata con i valori della fede. Una proposta a 360 gradi, articolata attraverso due incontri al mese dedicati a diversi temi, momenti conviviali e di confronto informale, fino ad arrivare, al termine, all’incontro “sul campo” di Bruxelles con alcune rappresentanze di istituzioni europee.

Per questo, aprendo l’appuntamento, monsignor Eros Monti, direttore dell’Istituto superiore di Studi religiosi di Gazzada e della Fondazione Paolo VI, parla del brano del Vangelo di Matteo 22 – quello appunto del «Rendete a Cesare quel che è di Cesare» – ed evidenzia: «Siamo debitori di qualcosa alla società e alla storia. Siamo qui perché non siamo “isole”, ma perché viviamo di relazioni, avvertiamo l’attesa degli altri e l’importanza di un tessuto di un buon vicinato».

Una logica di inserimento attivo nella società che anche monsignor Delpini pone al cuore della sua riflessione.

La riflessione dell’Arcivescovo e il dialogo

«La fede non è un riferimento tra noi e un Dio trascendente e incomunicabile, ma è fatta per rendere nuovo il volto della nostra società e, per questo, desideriamo che essa raggiunga ogni aspetto della vita», è l’esordio dell’Arcivescovo.

Poi le domande, nate dall’esperienza diretta dei ragazzi che si interrogano, attraverso il moderatore Valerio, «su come collegare le idee e la concretezza quotidiana, avendo una certa conoscenza degli strumenti dell’azione pubblica». Davide racconta di un workshop riguardante la riforma costituzionale, svoltosi l’anno scorso, da cui è emersa la volontà di organizzare un corso. Alessandro rappresenta il suo Decanato nella Scuola sociopolitica «perché è bello spendere serate intorno a un tavolo con la passione per la Politica con la “P” maiuscola». Cesare di Gallarate evidenzia le difficoltà che sorgono da quello che chiama un «tabù» politico, «con etichette ideologiche facilmente apposte ai giovani che si dichiarano cristiani».

La risposta di Delpini è, insieme, complessiva e rivolta a ciascuno: «Un editto che vorrei enunciare – scherza -, è che è proibito lamentarsi su come vanno le cose». Il messaggio è chiaro: non essere «laudatores temporis acti», con lo sguardo rivolto a un passato immaginato sempre migliore dell’oggi e del domani, ma essere «gente che, prendendo visione delle cose, mette mano ad aggiustare questo mondo, senza presunzione di avere ricette già pronte, proprio perché siamo tutti chiamati a mettere a frutto la vocazione che abbiamo ricevuto, ognuno con i propri carismi. Questa Scuola è una proposta di percorso che aiuta a fare qualche passo in tale senso e per questo sono qui», spiega ancora.

Inoltre, una seconda indicazione esemplificata con la citazione del celeberrimo “Discorso di Pericle agli Ateniesi” del 431 a.C., pronunciato per i caduti del primo anno di guerra del Peloponneso e ricostruito da Tucidide: «Discorso esaltante, perché osserva che chi non si interessa degli affari pubblici non è un pigro, ma è inutile. Discorso in cui si definisce la passione politica invitando all’interesse della polis: occorre, infatti, appassionarsi dei destini della città, non solo essendone dei clienti, cercando dei vantaggi e disinteressandosi degli altri».

Dunque, a cosa dedicarsi nell’impegno sociopolitico? La parola-chiave, secondo l’Arcivescovo, è quel «“convivere fraterno” che vuole il bene comune, rendendosi conto di essere membri di una comunità in cui coltivare rapporti che non sono pregiudizialmente sospettosi e dove si comprende che vivere insieme è meglio che da soli… Chi vuole aggiustare il mondo deve proporsi: il bene non è solo una forma di premura per una singola persona o per categorie che hanno condizioni particolarmente disagiate, ma esiste anche una carità cristiana che è prendersi cura dell’insieme fraterno». Tutto questo ha bisogno, più che dell’esercizio della carità spicciola, di formazione, «e, forse, spiega perché sia più facile e praticabile trovare volontari per l’oratorio che per l’amministrazione locale della politica come bene comune».

Da qui, la consegna ai giovani: «Vi raccomando un percorso formativo specifico, ma soprattutto di imparare a distinguere, con pertinenza, il bene dal male che è perseguire l’interesse privato e di parte nello spregio delle regole e dei principi morali. Per questo la formazione deve essere anche spirituale».

La serata si conclude ancora con alcune domande. A Ivan che chiede «quale impegno coltivare», Delpini dice: «Deve essere vocazionale. Il discernimento vocazionale è un’arte dimenticata, mentre la scelta deve essere ispirata dal dialogo continuo che si ha con Dio». Ad Andrea che si lamenta «del disagio che abbiamo come cristiani nell’esposizione in università o nella vita pubblica» e ad Angelo – «siamo in una zona grigia che ci espone all’impopolarità» – l’Arcivescovo torna a sottolineare: «Non dobbiamo rispondere con una visione monocorde, perché non mi pare che il mondo sia così appiattito sul rifiuto della spiritualità. Se vogliamo agire da cristiani in Consiglio comunale dobbiamo far prevalere il bene comune ispirato dal Vangelo. Sulle cose fondamentali occorre dimostrare di avere qualcosa da dire… Entrate negli argomenti, diventate esperti di ciò di cui state parlando, ma mettete in conto di poter essere sconfitti. Se i cristiani fossero più capaci di esporsi, avremmo maggiori possibilità di mostrarci non in maniera ideologica, ma perché il bene convince».

Infine, la risposta per Anna, giovane consigliera comunale a Gallarate, ha il sapore di una bussola di cammino: «Abbiate fiducia, confrontandovi con stima verso tutti, e coltivate competenza nel merito dei problemi, esercitando concretezza».

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