Un bilancio dell’anno pastorale che volge al termine. È quello che stila l’Arcivescovo, in una sorta di breve “viaggio” negli eventi più significativi che hanno segnato la vita della Chiesa ambrosiana, nell’anno che ha visto la morte di papa Francesco e l’elezione di papa Leone XIV.
Si inizia dall’entrata in vigore della II edizione del Messale ambrosiano, dopo un’attesa pluridecennale: «Molti si ostinano a pensare che il Messale sia un libro riservato solo ai preti o alle sacrestie e, dunque, si guardano dal leggerne le rubriche e le indicazioni. Ma come è noto e come il Concilio ci ha insegnato, i celebranti sono tutti i fedeli, ragion per cui il Messale è uno strumento per ognuno di noi», spiega monsignor Delpini, che il 17 novembre 2024 ha celebrato in Duomo l’Eucaristia, per la prima volta secondo quanto prevede il nuovo Messale.
Il 29 dicembre scorso, nella nostra Diocesi, si è aperto il Giubileo. Quale è la sua valutazione degli eventi dell’Anno santo?
Il Giubileo vuole dire un momento di sosta per fare l’esame di coscienza, per domandarsi quale conversione il Signore ci chieda. A me pare di vedere che gli eventi giubilari suscitino una grande partecipazione. Penso al pellegrinaggio diocesano, ma anche a quelli di singole categorie come, per esempio, gli adolescenti, con migliaia di nostri ragazzi che si sono recati a Roma, o ai pellegrinaggi che si svolgono nelle chiese giubilari della Diocesi. Dal punto di vista della partecipazione, il Giubileo «Pellegrini di speranza» mi sembra ben avviato e promette di proseguire così.
Parlando di speranza, fra le tante iniziative importanti di quest’anno vi è l’istituzione del Fondo Schuster-Case per la gente per dare risposta al disagio abitativo…
La speranza è la risposta alla promessa di Dio e, quindi, se si cancella Dio dall’interpretazione del tempo che viviamo, non c’è speranza. Ci possono essere buoni propositi e, forse, tutti capiscono che è meglio affrontare i problemi piuttosto che scaricarli sugli altri, sentirsi solidali invece che essere egoisti, ma noi vogliamo essere seminatori di speranza, scatenando iniziative. Non ci illudiamo di risolvere i problemi della casa né a Milano, né in altre cittadine della nostra Diocesi, ma vorremmo che si possa dire che, con persone di buona volontà e mettendo insieme delle risorse, i problemi si possono affrontare.
Gli eventi-cardine che ha vissuto la Chiesa universale in questa prima parte del 2025 sono stati la morte di papa Francesco e l’elezione di Leone XIV, che ha recentemente ricevuto in udienza i Vescovi italiani. Che impressione ha tratto da questo incontro?
L’impressione è stata di trovarci di fronte a un uomo di profonda fede, a un Pontefice che ha un desiderio di continuità su alcuni temi che papa Francesco ha affrontato: la pace, la sinodalità, l’unione dentro le comunità. Mi pare una persona lucida nell’interpretare il suo compito e la sua missione: una persona serena, pacata, che parla con la calma dei saggi e, nello stesso tempo, con il piglio dell’autorevolezza. Papa Leone ci ha salutati uno per uno con un gesto di grande gentilezza. Io non ho ancora avuto il coraggio di invitarlo, però certamente papa Prevost è venuto diverse volte a Milano perché qui c’è una notevole comunità di Agostiniani, e una parte importante della storia di Agostino, battezzato in Duomo da Ambrogio.
Il 7 giugno lei ha “compiuto” il 50esimo di ordinazione sacerdotale. Quale Milano ha visto affacciandosi alla balconata del Duomo quando è stato festeggiato dalla gente?
Ho visto tanti fedeli che avevano partecipato alla processione del Corpus Domini e che salutavano il loro Vescovo con il kayre – il segno di una simpatia festosa -, visibilmente lieti di poter fare gli auguri. E, poi, c’era chi passava incuriosito. Questo è per dire che Milano ha tanta gente appassionata, che ama la Chiesa e ne è felice e molta che vive orientata altrove. Quindi, diciamo che la missione aspetta ancora di essere compiuta.
L’Arcivescovo di Milano non va in vacanza perché in questo periodo compie viaggi missionari per visitare i nostri fidei donum impegnati nel mondo. Che esperienza è?
Questo è un elemento veramente bello della nostra Chiesa, fin dai tempi del cardinale Montini, che ha avviato tale servizio. Noi non siamo missionari quando andiamo a operare in un’altra Chiesa, ma siamo fidei donum, incaricati di condividere il dono della fede – così come l’abbiamo imparato nella Diocesi – con Chiese che l’hanno appreso con la propria storia. È uno scambio di doni più che una sorta di pretesa di andare a insegnare il Vangelo ad altri.




