«Pagine molto dense da leggere e da rileggere». Così papa Francesco, nella sua prefazione, firmata il 7 febbraio scorso, definisce l’ultimo saggio del cardinale Angelo Scola, dal titolo “Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia”. Pubblicazione edita dalla Libreria Editrice Vaticana e presentata a Milano in una sala convegni della Curia gremita di tanta gente, che si affolla anche fuori dalle porte, con molti volti noti e con, in prima fila, il vicario generale e i vicari episcopali.
Pagine, sottolinea il Pontefice scomparso, «lette con emozione» e che non potevano che suscitarne, quindi, altrettanta nel contesto del loro approfondimento affidato a una video-intervista di Luigi Geninazzi con lo stesso cardinale Scola e al dialogo tra l’Arcivescovo e il filosofo Massimo Cacciari, moderati dalla giornalista di Radio24 Catia Caramelli. Che, aprendo l’incontro, parte dalla copertina del libro: una bella immagine di un anziano pescatore intento a ricucire una rete da pesca. «L’anziano è questo: colui che è chiamato a ricucire e a riparare», dice, dando la parola a Cacciari, dopo la breve introduzione di Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Lev, che richiama il significato della prefazione scritta da Francesco alla vigilia del suo lungo – e ultimo – ricovero al “Gemelli” e l’immediata adesione del filosofo a partecipare alla serata nonostante i suoi molti impegni.
Negare la morte
«Ho voluto essere qui per la mia amicizia e la collaborazione che ho auto per molti anni con il Cardinale – quando Scola era Patriarca di Venezia e Cacciari sindaco, ma proseguita sempre -, attraverso un rapporto di grande cordialità e intensa riflessione intellettuale, apprezzando le sue letture in tutti i campi, la sua apertura, pur nella ferma convinzione in cui crede. Stasera sono qui per lui».
Poi, il passaggio al tema della vecchiaia e del morire affrontati nella video-intervista dal Cardinale che, appunto, intorno a tali tematiche spiega di aver voluto costruire il saggio, essendo lui stesso ormai un anziano 84enne, ultimamente purtroppo afflitto da un grave problema di salute.

«La morte è totalmente estranea alla nostra cultura, ma l’essenza della nostra coscienza è che sappiamo di morire. Eppure facciamo di tutto per dimenticarlo», scandisce il filosofo. «Sappiamo che moriremo e questo ci distingue radicalmente dagli animali e, quindi, negarlo significa negare la nostra stessa essenza, oscurando il dato essenziale della nostra coscienza. Il saggio del cardinale Scola dimostra questo».
«La virtus è la caratteristica del vir, dell’uomo, chiamato a diventare tale dalla iuventus, la sua gioventù, fino alla senuctis, la vecchiaia che riconosciamo solo se mantiene la virtus», aggiunge.
Virtù, in senso ampio come coscienza, capace «di considerare ogni istante come l’ultimo, sapendo che è quello del giudizio: questo è il saper morire, ma la nostra società fa di tutto per dimenticarlo, in ogni sua idea. La nostra civiltà non sa morire e, quindi, il tema di questo saggio è fondamentale anche perché riesce a far comprendere che l’eterno non è l’infinità durata. Tutta la nostra ideologia è costruita su questo “senza fine” che significa, in realtà, senza il “Fine” con la maiuscola, ma vivere solo “da scopo a scopo”. Scola ci dice – citando chi lo ha fatto nella teologia, nella filosofia e nella poesia -, che si può pensare tutto questo in assoluto contrasto con la cultura dominante. Mantenere una sorta di paradossalità rispetto a questo è peculiare della cultura cristiana: occorre pensare sub specie aeternitatis». Non a caso, infatti, un ulteriore tema del volume è l’immortalità: per questo «leggere questo saggio è come fare un ragionamento contropelo rispetto all’oggi».
Diventare vecchi
«La parola vecchio sembra brutta, ma il Cardinale la mette in evidenza perché vi è qualcosa di bello nell’essere vecchi, ad esempio, nel poter parlare con i nipoti come un nonno. Io l’ho sperimento personalmente», dice il vescovo Delpini.

«E, poi, c’è la possibilità di fare un esame di coscienza su una vita buona vissuta, anche se, forse, come nota il Cardinale, non ho amato abbastanza quelli che mi hanno amato».
Questo è il «capitolo del bene, poi, c’è quello del male con la decadenza fisica, la perdita della mobilità e della lucidità, di ciò che è apprezzabile nella cultura e persino nelle famiglie contemporanee, che vedono la decadenza più che la riconoscenza. Da qui il domandarsi nello stupore, che nasce anche dall’angoscia, su cosa sia questa epoca della vita: non un interrogarsi astratto, non una ricerca di risposta, ma la ricerca di un abbraccio e di essere accolti».
Il pensiero – il volume è uscito a pochi giorni dalla sua morte – va a papa Francesco.
«La malattia e la scomparsa del Papa, come tutti abbiamo potuto constatare, ha suscitato un’emozione straordinaria, forse anche perché è il primo Pontefice a morire nell’era digitale. Francesco ha testimoniato che nessun uomo è solo, andando, fino agli ultimi giorni, nelle carceri e in piazza San Pietro. Il Papa non si concepiva senza la gente: il suo è un messaggio forte e importante».
La vita eterna
Ma come si diventa vecchi?, chiede la moderatrice. «Certo è bene che noi resistiamo agli aspetti più tristi, basti pensare a Leopardi, che Scola cita, o a Schopenhauer che ha pagine intense “sulla orribile malattia dell’invecchiare”», incalza Cacciari, «ma occorrerebbe anche riconoscere, sempre e dovunque, la piena dignità dell’umano che, appunto, dovremmo vedere sub specie aeternitatis, nel suo valore eterno. Si potrebbe anche dire “la vita è eterna”: gli uomini che lo negano sono dei folli, gli assassini sono dei folli. La vita è eterna per come la si vive qui, nella sua realtà, non al di là, nella meta-fisica. Scola sa che il pensiero teologico e filosofico devono trovare un nuovo modo di dialogare per contrastare il pensiero corrente». Quel “così pensano tutti” che il filosofo declina anche attraverso una delle espressioni più belle del breve saggio, che non è – sottolinea – «per nulla breve nella sua forza».
«Ogni giorno prego Dio che il desiderio di vedere il suo volto sia più forte della mia paura di morire. Perché so che non mi aspetta “qualcosa”, ma “Qualcuno”», scrive il Cardinale.
«La nostra eternità», conclude monsignor Delpini, «non dipende dalla nostra virtù o dal nostro impegno, ma fa parte dell’essere in relazione con Dio. Per questo dobbiamo divinizzarci, non con uno sforzo volontaristico – anche se serve l’impegno – ma come grazia. Quindi, il nostro desiderio sono una preghiera e una relazione che vorremmo giungesse a compimento: questa è la vita beata di cui parla Scola. Un Cardinale quasi commosso, che, nell’ultimo stralcio dell’intervista proiettata in sala, parla dell’abbraccio, inatteso, ricevuto da papa Francesco subito dopo la sua elezione al Soglio – che lo stesso Pontefice ricorda nella sua prefazione – e del grande dono di monsignor Delpini come arcivescovo di Milano.





