Percorsi ecclesiali

La Diocesi verso le Assemblee sinodali

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Seveso

Realizzare il volto di una Chiesa sinodale non burocratica ma relazionale

Al Centro pastorale di Seveso si è tenuta l’iniziativa «Artigiani di una Chiesa sinodale», promossa dalla Consulta Chiesa dalle Genti e dall’Azione Cattolica Ambrosiana

di Annamaria BRACCINI

11 Novembre 2023
Foto Vatican Media / Sir

«Un’occasione di ascolto e formazione declinata in due coordinate, la conclusione del Sinodo universale nella sua prima sessione e il lavoro specifico delle Assemblee sinodali decanali, a cui abbiamo voluto invitare chi fa parte delle Assemblee e tutti coloro che sono interessanti ai percorsi sinodali della Chiesa e della nostra Chiesa diocesana».

Si apre così il primo dei tre incontri dell’iniziativa “Artigiani di una Chiesa sinodale”, promossa dalla Consulta Chiesa dalle Genti e dall’Azione Cattolica Ambrosiana, svoltasi al Centro pastorale di Seveso.

Dopo le parole di benvenuto di Susanna Poggioni, ausiliaria diocesana e responsabile dell’Equipe sinodale della Diocesi, la recita corale della preghiera presieduta dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi che ringrazia «per un cammino che stiamo facendo insieme come Chiesa con spirito autenticamente sinodale», precede la relazione centrale, affidata a padre Giacomo Costa, gesuita e segretario speciale del Sinodo. Molti i presenti, tra cui il moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti e il presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana, Gianni Borsa.

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La testimonianza vissuta

«La mia, a pochi giorni dalla conclusione del sinodo – avvenuta il 29 ottobre scorso -, vuole essere,  più che un’analisi dettagliata, una testimonianza basata racconti personali che nessuna pagina scritta può restituire», chiarisce subito il relatore che continua. «Fin dal primo giorno dell’assise si è reso evidente il valore testimoniale dell’esperienza sinodale che va molto al di là della sintesi finale (prodotta, in 20 punti, al termine dell’assemblea), perché fare sinodo non è creare una serie di atti, ma significa un effettivo cammino di tutte le comunità. Concentrarsi solo sui documenti non è quello che siamo chiamati a fare, mentre a volte si ha l’impressione che, specie nei sinodi diocesani, questa sia stata una preoccupazione preminente», nota Costa che richiama la felice definizione del sinodo offerta dal Papa: «un luogo di grazia e di comunione, non un parlamento».

Con un video fatto dei tanti volti diversi, dei riti, lingue e culture differenti di coloro che sono stati impegnati nei 35 Tavoli dell’assise, si avvia la riflessione.

Lo stile spirituale e la preghiera 

«Il primo punto è l’importanza che ha avuto la preghiera per la costruzione di un’indispensabile comunità di fede. Credo che questo sia il Sinodo più pregato – dice sorridendo il Padre gesuita -perché la fede è la base che ci permette di vivere eventi come questo essendo una comunità che cresce, radunata dal Signore che ci rassicura, ci riorienta e rimanda poi in missione come se si fosse in un cenacolo. La preghiera è cruciale, non è un optional o di contorno. Ritrovarsi per dire il rosario insieme, dopo un faticoso giorno di lavoro affidando tutto al Signore, è stato fondamentale. È appunto in questa dinamica spirituale e di preghiera che si inserisce la richiesta di papa Francesco di non farsi assediare dai media, di non essere ossessionati dalle interviste, non certo perché ci sia qualcosa da nascondere o di segreto».     

«Mi ha colpito», pare riflettere ad alta voce il Segretario speciale, la presenza dei 12 delegati fraterni appartenenti ad altre Confessioni cristiane che si sono espressi con piena libertà di parola, anche se potevano votare il documento finale. Un ministro di culto Battista ha sottolineato il nostro modo contemplativo di essere nell’assise, augurandosi che divenga anche uno stile del dialogo ecumenico: siamo stati in una casa in cui ci siamo sentiti tutti accolti, vivendo “la dimensione contemplativa della vita”, per usare il titolo della prima lettera pastorale del cardinale Martini». 

L’ascolto

Poi, un secondo punto: «essere stati trasformati in un unico corpo, che non è scontato. All’inizio si parlava solo di conflitti, di un tentativo di distruzione della Chiesa, eppure non abbiamo assistito a niente di tutto questo, anzi il sinodo è stato contraddistinto da una serenità maggiore che in altri. Uno dei grandi doni è che la Chiesa esce più unita da questa sessione, anche se vi sono stati modi diversissimi di interpretare le cose. Forse, per la prima volta, si è visto che la prospettiva occidentale non è esaustiva e nemmeno la più interessante».

Da qui, la citazione di un passo particolarmente significativo del documento finale: “L’esperienza dei Tavoli ha visto lo Spirito santo in azione tra i gruppi” e il valore attribuito alle figure, finora inedite, dei facilitatori, come ad esempio, per la Chiesa ambrosiana, la laica Erica Tossani e don Mario Antonelli, attuale rettore del Pontificio Seminario Lombardo.

«Ascoltare e farsi penetrare della parola dell’altro, non come una tecnica, ma come una dimensione dell’io», è la sfida, scandisce Costa. «In questo, i facilitatori – a ognuno dei 35 Tavoli di lavoro ne sedeva uno che aiutava a rispettare le regole e ad entrare nell’esperienza -, sono stati cruciali».

Basti pensare che proprio i Vescovi, alla fine dei Lavori, hanno detto che i facilitatori dovevano essere ancora più severi ed che è stato auspicato che si istituisca un vero e proprio “ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento”, sul modello dei facilitatori sinodali, come ruolo fondamentale della struttura della Chiesa».

Il metodo di lavoro

Particolarmente significativo il meccanismo, illustrato dal relatore, di andamento dei lavori, strutturati nei quattro grandi capitoli emersi dai due anni di preparazione, sui punti cardine della riflessione spirituale, della preghiera, dell’affronto dei temi con l’esposizione in pochi minuti, della propria posizione, un ritorno sulla stessa dopo aver udito gli altri partecipanti al Tavolo, l’individuazione delle domande, una restituzione a livello di assemblea generale e un tempo di conversazione spirituale. Il tutto condensato in 4 giorni per ciascun tema. «Rispetto a ogni tema, i gruppi hanno approfondito le convergenze, più che le divergenze, laddove queste non sono stati compromessi o frutto di una negoziazione, ma riconoscere un cammino condiviso. Per questo ci vuole tempo, ma il grande passo in avanti è stato l’istaurarsi della fiducia reciproca nel mettere a tema interrogativi, ad esempio, sul celibato o il diaconato femminile, come è emerso nei Lavori. Ciò porterà, necessariamente, a una ricomprensione anche del ministero ordinato e della gerarchia, ma  mai si è parlato, al sinodo, di  un appiattimento di questi ruoli per cui, al contrario, ho sempre registrato una riconoscenza».

«Veramente si è dato spazio a Chiese nuove, parlando ad esempio, dei problemi connessi alla poligamia di chi si avvicina o professa la fede cristiana nei Paesi africani: noi, per secoli, abbiamo imposto il nostro modo di pensare occidentale, la nostra teologia come fosse universale, ma cosi non è».

In gioco, suggerisce Costa, c’è «il volto della Chiesa sinodale, da articolare non in maniera burocratica ma relazionale, ripensando anche le strutture in questo senso. Al di là del termine oggi abusato “sinodale”, da non usare a sproposito, ciò che è da promuovere nelle nostre Chiese è il Sinodo come esperienza vissuta, radicata nel Vaticano II», anche perché «vediamo come facciamo fatica  a misurarci sul tema dell’ascolto che richiede ancora una conversione».    

Infine, padre Costa definisce il senso complessivo della sintesi finale, «fatta di spunti per intraprendere passi concreti con i suoi 20 temi divisi in 3 blocchi: “Il volto della Chiesa sinodale”,  “Tutti discepoli, tutti missionari”, – «un ambito fondamentale per ripensare tuti i nostri organismi in funzione della missione: contesto che ha colpito molto l’Arcivescovo», “Tessere legami, costruire comunità”, con quel punto 17, “Missionari nell’ambiente digitale” «che pochi hanno evidenziato nelle riflessioni preparatorie e che, invece, sta cambiando la vita e mette in gioco il nostro percepirci come comunità».   

I lavori di gruppo

Dopo l’articolata comunicazione plenaria nell’Aula magna, i partecipanti alla mattinata si sono divisi in 11 gruppi, riflettendo con una metodologia che ricalca quella del sinodo, su 6 aree tematiche tratte da altrettanti punti della sintesi finale. “La Chiesa è missione”, “Per una Chiesa che ascolta e accompagna”, “Un approccio sinodale alla formazione”, “Una Chiesa da ogni tribù, lingua, popolo e nazione”, “La sinodalità, esperienza e comprensione”, “I poveri, protagonisti del cammino della Chiesa”. Le rispettive relazioni verranno, poi, inviate all’Equipe sinodale.

E tutto per chiedersi, con una bella espressione di madre Ignazia Angelini, claustrale benedettina, che al Sinodo ha predicato gli Esercizi spirituali, «con quale parabola possiamo raccontare una Chiesa sinodale e come far fruttificare tale cammino nelle Chiese locali». E, forse, questa moderna parabola potrebbe essere proprio la testimonianza di una Chiesa riunita a livello universale, capace di parlare di ascolto, dialogo e pace in un mondo di guerre, polarizzazioni, continue affermazioni delle proprie verità indiscutibili, facendo finalmente tacere «i megafoni dell’io».   

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