Dario Romano ha 31 anni, e dalle sue riflessioni si capisce come sia un figlio dell’attuale Milano. Tredici anni fa è partito dalla Puglia per venire in città a studiare Lettere, e da allora ha costruito la propria vita qui, dove è diventato volontario della Pastorale giovanile ed educatore in un gruppo di giovani della Comunità pastorale Trasfigurazione del Signore, nel Gallaratese.
Leggendo il Discorso alla città, nel passaggio dedicato alle future generazioni, non ha dubbi nell’individuare quello che lo rappresenta al meglio: «Io mi faccio avanti: ho delle idee e dei sogni per immaginare il futuro nell’inedito e nel sorprendente. Coltivo il desiderio e il proposito di contribuire a dare futuro e bellezza alla casa comune». «Quel passaggio mi ha colpito molto – spiega Romano -, perché ci ho riconosciuto l’idea di “farsi avanti”, dei sogni per immaginare il futuro nell’inedito e nel sorprendente. È qualcosa che risuona in me non solo dal punto di vista spirituale, ma anche come percorso di vita. Mettere a frutto i propri talenti significa scommettere, portarsi dentro idee e desideri che non dipendono solo dalla nostra volontà, ma che richiedono impegno e, allo stesso tempo, fiducia in qualcosa di più ampio e imprevedibile».
La speranza, mista a uno sfondo di inquietudine, è un po’ la caratteristica che risuona in quasi tutta la parte del Discorso dedicata ai giovani. Secondo Romano, monsignor Delpini ha insistito soprattutto sul riconoscere nei giovani segni di speranza, anche dentro contesti segnati da desolazione e disperazione. Un’attenzione che per il giovane educatore richiama anche ai valori di questo Giubileo, giunto quasi alla sua conclusione, e alle parole di papa Francesco: «Quando il Pontefice insisteva sul fatto che anche a vent’anni ci si può impegnare e non vivacchiare nella superficialità, sicuramente intendeva sottolineare come la speranza sia una dimensione insita in noi, un’energia che abbiamo il compito di liberare».
Una parola che Romano utilizza come chiave per sprigionare questo potenziale è «scommessa»: sulla formazione, sul lavoro, sull’idea che i talenti un giorno possano portare frutto. «Se oggi guardiamo al futuro, molti giovani portano dentro desideri ed energie reali, ma anche il timore che investire su ciò che sentono proprio possa non “funzionare” dal punto di vista sociale o economico. La scommessa diventa allora il tentativo di non rinunciare ai propri talenti e alle proprie aspirazioni, pur sapendo che il risultato non è assicurato, e che l’inquietudine, più che un limite, è parte integrante di questa età e del modo in cui i giovani provano a immaginare il loro futuro».
Diventare adulti significa dopotutto compiere un salto di qualità, anche quando si cresce comunque. E nei più giovani Romano vede ancora tanti semi buoni che possono germogliare. Non solo nell’innovazione tecnologica: al contrario, uno dei tesori più “inaspettati” proviene prima di tutto dal loro sguardo: «Rispetto agli anziani, i giovani sanno osservare il mondo con un occhio diverso, e immaginare soluzioni nuove, rispetto agli schemi con cui si è affrontato il passato. Credo che l’Arcivescovo confidi molto nel fatto che un po’ di creatività giovanile possa aiutare ad aggiustare le cose che non vanno».




