Non mancheranno certamente le domande, né la curiosità reciproca nell’incontro di lunedì 17 marzo (alle 19) presso la Comunità Kayros di Vimodrone. Così come – forse proprio a partire dai testi delle canzoni trap di cui tanto si discute – non mancheranno sicuramente gli interessi comuni, a dispetto di percorsi di vita molto diversi tra loro, se si dovesse guardare solamente alle esperienze di ciascuno. A incontrarsi faccia a faccia saranno infatti i ragazzi della Comunità fondata da don Claudio Burgio che accoglie ragazzi e giovani maggiorenni con procedimenti penali, e gli adolescenti accompagnati dall’Arcivescovo nella penultima tappa del percorso pensato insieme alla Fondazione Oratori Milanesi per scoprire nella città opere di misericordia possibile.
Gestire la libertà
Visitare i carcerati, quindi. I ragazzi di don Claudio hanno già fatto un piccolo o grande passo oltre il carcere, e giorno dopo giorno stanno imparando cosa significa gestire la propria libertà. Ma, certamente, nel raccontarsi «potranno spiegare com’è stata la loro esperienza al Beccaria; oppure potranno raccontare come vivono ora, cos’hanno capito nella loro esperienza qui in comunità», anticipa il sacerdote, che sottolinea come l’incontro di domani sera sarà certamente un momento molto libero, spontaneo. «Rimarremo sulle storie vere», dice. Ovvero, sull’esperienza di ciascuno.
Un confronto tra pari forse più facile tra gli stessi adolescenti che con gli adulti, quindi. Ma è proprio questo il passaggio che preme di più a don Claudio, quando guarda ai ragazzi della sua comunità. Far sì che ciascuno possa far emergere la propria storia, nonostante gli errori. «Anche una storia sbagliata è pur sempre una storia di salvezza – ha scritto nel suo ultimo libro (Il mondo visto da qui, Piemme) -. ogni ragazzo è e rimane una storia sacra, da contemplare come un dono prezioso».

La pazienza di ascoltare
«I ragazzi che arrivano qui – spiega – sono definiti in tutti i modi: “maranza”, delinquenti, baby gang. Lunedì cercheremo quindi di andare oltre l’etichettamento, il pregiudizio. Lasciamo che i ragazzi stessi si raccontino, proprio sapendo che dietro a un reato commesso purtroppo c’è sempre una storia. E che, dunque, bisogna avere anche la pazienza di ascoltare cosa ci sta dietro».
Per i ragazzi di don Claudio iniziare a raccontarsi non è certo una novità: «Siamo contenti che l’Arcivescovo viva questo momento con noi, e siamo contenti di confrontarci», sottolinea, ricordando tra l’altro che diversi, nella sua comunità, stanno ora facendo il Ramadan. «La nostra non è una comunità chiusa, separata dal mondo – ricorda -: molte scuole e oratori vengono a trovarci, a volte andiamo noi da loro».
Ma quale potrà essere un’intuizione che gli adolescenti si porteranno a casa dopo l’incontro a Kayros? Ancora una volta don Claudio ribadisce un messaggio che, naturalmente, non è rivolto solamente agli adolescenti: «Diremo innanzitutto che il disagio, la sofferenza sono trasversali, e non riguardano solo un particolare ceto sociale. Nei loro anni di passaggio, nella loro ricerca identitaria, a tutti gli adolescenti capita di vivere una frustrazione per un fallimento, per un obiettivo non centrato; ciò che spinge alcuni a commettere un reato può essere, magari, lo stesso “motivo” per cui tanti altri coetanei sperimentano una fatica, o vivono male quelle situazioni in cui si chiede loro una “prestazione”».
Oratorio, luogo aperto alla realtà
Un vissuto interiore che in fondo accomuna tutti, quindi. Ma è vero anche che le esperienze possono essere molto diverse. Proprio per questo l’Arcivescovo sprona i ragazzi dell’oratorio ad accettare l’invito, a non isolarsi in «buoni sentimenti evanescenti», anche quando «quello che sentono dire dal mondo li deprime». D’altra parte, osserva don Claudio, «l’oratorio è sempre stato non un luogo dove star bene con i propri simili, ma un luogo aperto a tutta la realtà sociale». E a chi invece lascia l’oratorio, perché lo considera un ambiente troppo per piccoli, don Claudio direbbe di «scoprire la possibilità di poter vivere ancora esperienze che danno un senso alla vita».
È questa la speranza a cui don Claudio invita anche i ragazzi di Kayros, a cui non offre mai ricette, ma presenta piuttosto la sfida, come hanno scritto alcuni di loro, di poter migliorare, pur senza cancellare gli errori commessi. Una speranza che, avverte, «non è solamente un ottimismo, ma un cammino da fare insieme». E che, come nel cammino dei discepoli di Emmaus, «è qualcosa che ci precede, che ci raggiunge dall’Alto». «Gesù – scrive monsignor Delpini nel capitolo dedicato al carcere della sua lettera agli adolescenti – non chiede di risolvere problemi a chi non può farlo: indica piuttosto una via percorribile per chi vorrebbe essere vivo; e invita ad aprire gli occhi, per riconoscere vie per la gioia di Dio che a volte sembrano improbabili».









