Percorsi ecclesiali

Proposta pastorale 2023-2024

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Lavoro

Il futuro passa attraverso il capitale umano

Andrea Villa, presidente delle Acli di Milano e Monza Brianza, riflette sui cambiamenti del mercato dell’occupazione e sul ruolo dei lavoratori cristiani, anche alla luce della Proposta pastorale dell’Arcivescovo

di Stefania CECCHETTI

28 Ottobre 2023
Foto Unsplash

Interrogarsi sui continui cambiamenti che sta attraversando il mondo del lavoro e che rischiano di vederci come spettatori inermi o, peggio, come vittime. È questo l’invito dell’arcivescovo Delpini nel quinto capitolo della sua Proposta pastorale Viviamo di una vita ricevuta (vedi qui). Ne abbiamo parlato con Andrea Villa, presidente delle Acli provinciali di Milano e Monza Brianza.

Quali trasformazioni sta vivendo oggi il mercato del lavoro oggi?
L’Arcivescovo fa bene a sottolinearlo: il mercato del lavoro è in piena evoluzione. Soprattutto si stanno concentrando due grosse transizioni, quella digitale e quella ecologica, per le quali occorrono profili lavorativi nuovi, mentre abbiamo un processo di formazione che non è stato ristrutturato. Questo crea tutta una serie di fatiche: è forte, lo si vede anche dai titoli dei giornali, la discrepanza tra le richieste di profili lavorativi e l’offerta di lavoro, in Italia e in Lombardia. Abbiamo anche lavori che andranno a morire. Insomma, un clima di grande incertezza e confusione attende chi oggi deve entrare nel mondo del lavoro.

Delpini sottolinea due aspetti del cambiamento. Il primo è il nuovo desiderio di conciliare lavoro e vita personale…
All’interno di un mercato del lavoro che cambia abbiamo due fasce di lavoratori. La prima è quella di chi ha una certa professionalità, ma decide di lasciare volontariamente l’impiego, nella maggior parte dei casi per andare a ricercare un nuovo lavoro: a volte avendolo già in tasca; altre volte, invece, prendendosi anche il rischio. È il fenomeno delle grandi dimissioni, partito in America e poi arrivato anche in Europa. Dentro ci sono alcuni fermenti nuovi e senz’altro positivi, per esempio l’esigenza di conciliare meglio il lavoro con gli altri aspetti della vita privata, come la famiglia e l’impegno sul territorio. Ma c’è anche una nuova sensibilità dei lavoratori verso la crescita: oggi non sono solo le aziende a chiedere un’adesione ai valori di impresa, anche gli stessi lavoratori cercano un impiego che sia più ricco di significato, più coerente nella costruzione del bene comune, maggiormente gratificante attraverso la possibilità di percorsi di crescita professionale. Questa nuova sensibilità è significativa e chiede di investire nel capitale umano in maniera continuata.

L’altro aspetto sottolineato dall’Arcivescovo è il cosiddetto «lavoro povero»…
È l’altra fascia di lavoratori a cui accennavo. Ci sono persone che, pur lavorando, sono a rischio povertà, perché hanno una bassa professionalità e lavorano in modo discontinuo, precario o sottopagato, oppure in nero. Lavori che non consentono di uscire da una situazione di povertà e quindi di costruirsi un’autonomia. In questo senso noi pensiamo che il dibattito sul salario minimo, che si è un po’ interrotto, sarebbe da approfondire. Perché è vero che in Italia abbiamo la contrattazione, che copre molti contratti, però soltanto il 23% della forza lavoro è impiegata in quelle che si dicono grandi imprese, sopra i 250 dipendenti, dove c’è una presenza sindacale formalizzata e strutturata. Tutto il resto della popolazione vive a volte con contratti firmati dalle maggiori categorie, molto spesso senza alcuna tutela sindacale. Un livello di retribuzione minima, e aggiungerei anche di tutele minime, permetterebbe ai lavoratori e agli oltre 4 milioni di imprenditori italiani di riuscire a distinguere un po’ più chiaramente ciò che è considerabile lavoro e ciò che invece dobbiamo chiamare per quello che è, cioè sfruttamento.

Quali spazi di azione si aprono per i cristiani in questo mondo del lavoro sfaccettato?
Nella Proposta pastorale l’Arcivescovo ci chiede di non disimpegnarci. Invece a me sembra che, nelle nostre comunità cristiane, ci siano alcuni temi sui quali non siamo più un punto di riferimento. Ci viene riconosciuta ancora la capacità educativa, siamo naturalmente un punto di riferimento per la spiritualità, ma su alcune tematiche rischiamo di non essere più il luogo dove i giovani che crescono vanno a chiedere una parola in più. Senz’altro il tema del lavoro è uno di questi. Come lo è anche il tema della responsabilità verso il bene comune, della politica in senso alto. Abbiamo bisogno di ricominciare a prendere la parola su certi argomenti. Qualche anno fa l’arcivescovo Delpini ci chiedeva di sentirci autorizzati a pensare, a riprendere la parola insieme nelle nostre comunità. Perché si vive da cristiani non a compartimenti stagni, non solo quando è il parroco a chiamarci: siamo chiamati a formarci, ad avere un’idea e a vivere i nostri valori cristiani anche fuori dalle nostre comunità.