«Animare significa dare vita, ma occorre sempre avere un’etica. Si dice spesso che gli imprenditori sono soli quando devono prendere decisioni, invece è meglio condividere perché, goccia a goccia, si può creare un flusso d’acqua che è inarrestabile». Di prima mattina, in piazza San Babila, nel cuore di Milano, dice così il giovane imprenditore Pietro Mattia Maddaluno, chiamato a portare la sua testimonianza con altri tre “colleghi”, in apertura del Giubileo diocesano dedicato a questa categoria.
Sul piccolo palco allestito all’aperto, l’Arcivescovo e il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan, ascoltano, oltre a Maddaluno (head of Sponsorship presso Legea Hub Lecco, articoli sportivi), Alessandro Negrini (chef de “Il Luogo di Aimo e Nadia” e “Relais & Châteaux”), Paolo Palamiti (presidente del Gect Reno-Alpi, Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale per il corridoio Reno-Alpi) e Anna Chiara Zecchel (ceo di “Happy Child”, scuole dell’infanzia), impegnati a raccontare le proprie esperienze, partendo ciascuno da un verbo: animare, abitare, appassionarsi e accompagnare.
Ai piedi del palco, imprenditrici e imprenditori, appartenenti a una quindicina di realtà, da Confcommercio ad Assolombarda e Ucid (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti), dalla Camera della Moda a Confindustria Lombardia, per arrivare agli artigiani, alla Camera di Commercio, alla Compagnia delle Opere e al mondo della cooperazione, con Confcooperative Milano e Lega Coop. Tutte rappresentate ai loro massimi livelli, con presidenti e responsabili territoriali.

Le testimonianze
«Tu abiti se coltivi: coltivare significa avere cura delle relazioni. Il ristoratore può essere un mentore di aggregazione. I miei genitori avevano un’impresa di pulizie e mi hanno insegnato il valore del lavoro. La dignità significa avere un mestiere e farlo bene. Lavorare può essere gioia: se ami un’azienda, ella ti restituisce molto di più», spiega Negrini, a cui fa eco Palamiti: «È entusiasmante prendere per mano chi ci sta accanto e cogliere obiettivi che possiamo raggiungere solo insieme. Intraprendere significa sacrificare energie e tempo per qualcosa che guardi oltre il nostro orizzonte. Appassionarsi significa anche soffrire in virtù del senso di appartenenza che lega, in ogni situazione, lavoratori, imprenditori, famiglie, aziende». Infine Zecchel scandisce: «I miei genitori, come imprenditori, condividevano con noi cinque figli le storie e le battaglie di tutti i giorni, educandoci. Avevano una profonda fede e questo rendeva diversa l’imprenditoria. Dopo aver respirato tutto ciò io potevo godermi la vita o restituire quanto ho ricevuto ed è questo che ho fatto con profonda gratitudine».
Poi l’avvio del cammino verso il Duomo dove, dopo alcuni momenti di meditazione, scambio e confronto libero tra i presenti – che hanno avuto anche la possibilità di celebrare individualmente il sacramento della Riconciliazione – è l’Arcivescovo a presiedere la celebrazione eucaristica, concelebrata da altri sacerdoti, tra cui il Vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, nella sua veste di consulente ecclesiastico del Gruppo Lombardo dell’Ucid.
La celebrazione
«Siamo qui nella casa di tutti i milanesi perché ci sentiamo interpreti particolari dello spirito di questa terra. Entriamo, quindi, con fierezza e umiltà in questa celebrazione», dice monsignor Delpini dopo l’introduzione di monsignor Bressan, che richiama il Discorso di Sant’Ambrogio – ispiratore della realizzazione del Giubileo degli imprenditori – e l’auspicio di cooperare tutti per il bene comune, lavorando «insieme per aggiustare il mondo», come si intitola il Giubileo stesso. Che, per usare le prime parole dell’omelia, «è avere una vita rinnovata, un cuore e uno spirito nuovi».
Cinque le caratteristiche di questa novità delineate dall’Arcivescovo nella sua omelia.
Il «cuore nuovo»
Primo, il cuore riconoscente: lo spirito di gratitudine: «La novità non nasce dalla paura, ma dallo stupore: c’è qualche cosa di grande, di bello, di affascinante in cui ci troviamo a vivere. In particolare, gestire una impresa, un’attività, un’azienda è, anzitutto, un dono che si riceve. Per molti anche concretamente, per tutti, in ogni caso, l’impresa è sempre frutto di una comunità: nessuno si è fatto da sé, anche se alcuni hanno la presunzione di presentarsi così. Che cosa può fare un individuo da solo? Come lavorare senza collaborare? Come procedere senza una procedura definita da altri, sostenuta da una rete di rapporti, da un riferimento alle istituzioni?».

Inoltre, il cuore coraggioso: «Le preoccupazioni invadono la mente, consumano energie, spaventano, confondono il pensiero, ma Gesù esorta a non preoccuparsi. I tempi non sono mai favorevoli, con il mutare del panorama internazionale in questo momento, le guerre scandalose, interminabili e rovinose, le idee bizzarre dei potenti di turno che complicano la vita e ostacolano il lavoro. Ma voi potete farcela. In ogni situazione ci sono delle occasioni. Confrontatevi con quelli che sono sulla stessa barca, ma cercate la via per andare avanti piuttosto di lasciarvi cadere le braccia e cercare una vita più tranquilla di quella dell’imprenditore: il coraggio è un tratto del cuore nuovo, abbiate stima di voi stessi»
«Un cuore amico della giustizia, solidale e pacifico»
Il pensiero va anche alla giustizia perché, nota l’Arcivescovo, «senza un criterio di giustizia una società è destinata al caos o alla tirannide. Il cuore giusto distingue il bene dal male, prima di distinguere se conviene o non conviene. Il cuore giusto si prende cura che ogni persona sia rispettata, Un cuore giusto vigila sulla sicurezza e cerca di convincere tutti a essere attenti della sicurezza propria e altrui perché che finisca questo scandalo impressionante degli incidenti sul lavoro».
Quarto, la solidarietà: «Il bene comune è il vero bene da ricercare. L’impresa, per prosperare, ha bisogno di essere una comunità, un contesto in cui si incontrano popoli, sensibilità diverse e competenze. Solo insieme si può lavorare. La comunità condivide le fatiche e, perciò in modo proporzionato, anche ciò che la fatica di tutti ha conseguito. Essere insieme impegna chi ha maggiori responsabilità a riconoscere i talenti di ciascuno, a offrire buone ragioni per metterli a servizio di beni di tutti». E questo «contro la tendenza individualistica che induce la società al declino. Il territorio in cui si colloca l’impresa ha diritti e doveri: ciascuno deve dare e ciascuno ricevere. La buona qualità della vita, dell’ambiente, delle relazioni è una attenzione irrinunciabile per tutti».
Infine, «uno spirito amico della pace: un cuore pacifico. La concorrenza non è la guerra, ma l’emulazione. La differenza dei punti di vista non deve mai finire in uno scontro, ma in un dialogo che migliora uno e l’altro. Il cuore nuovo dell’imprenditore è amico della pace, perché sempre si può intravedere un sentiero di riconciliazione in vista del bene comune».
Il ringraziamento del presidente di Confcommercio Sangalli
«Grazie di cuore all’Arcivescovo e alla Diocesi per questa occasione di incontro e riflessione dedicata alle imprenditrici e imprenditori che abitano, si appassionano e accompagnano gli altri – sottolinea, a conclusione, il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, a nome di tutti i partecipanti -. Queste parole sono generative per noi tutti. Nella città di Ambrogio, le istituzioni, il mondo associativo e la Chiesa hanno lavorato concretamente insieme facendo bene e per il bene. Il Giubileo ci invita a una pausa in cui porsi le domande essenziali su cosa abbiamo generato. Fondare, ereditare, fare crescere e trasformare un’impresa è sempre una scelta di vita, prendersi una responsabilità sociale per creare altro lavoro. Nessuna impresa è mai un’isola».
La recita corale della preghiera degli imprenditori, composta dall’Arcivescovo e la consegna dalle sue stesse mani di una pergamena, con la preghiera e l’immagine della vetrata del Duomo raffigurante San Martino intento a costruire la Cattedrale di Tours, suggellano l’intensa mattinata.







